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Un piatto di costine ai ferri e un tegame di radicchi rossi

Tutto inizia con una telefonata e un invito.”Ciao, come stai? Hai voglia di una pizza stasera?”. “Ok va bene … ma… se ti va… potremmo trovarci a casa mia, in campagna. Il camino è acceso da oggi pomeriggio, potremmo farci un piatto di costine alla brace!”. “Ottimo! Porto io le costine e il vino, tu raccogli dall’orto quello che trovi per un’insalata. Ciao, ci vediamo alle otto”. La telefonata è giunta alle diciannove circa, soltanto che era già buio pesto e non sapevo come trovare la verdura, tra l’altro eravamo verso la fine di Novembre e il mio orto non era rigoglioso. Mi metto gli stivali di gomma per non infangarmi fino alle caviglie, rovisto in un cassetto e trovo un mozzicone di candela, una torcia sarebbe stato meglio. Non vedevo niente, c’erano fango ed erbacce dappertutto, ma piano piano, aiutandomi col tatto ho individuato l’aiuola dei radicchi, ne ho raccolti una sporta, poi ho seguito la rete metallica di confine e ho raccolto un mazzolino di erba cipollina, senza difficoltà, poiché appena la sfiori manda un aroma intenso. Aiutata dalla candela, che per fortuna non si è spenta, ho individuato l’aiuola della rucola e il ciuffo di sedano che sovrastava le erbacce. Nella sporta di plastica avevo gli ingredienti per la felicità! Una volta entrata in casa è incominciata la magia. Il camino era pieno di braci rosse, avrebbero cotto anche un tacchino, non solo le costine. Insieme prepariamo la cena. Lui si occupa della griglia, io della verdura. Dispongo le rosette di radicchio rosso di campo in una grande insalatiera, sembravano davvero rose, le guarnisco con alcune foglioline di sedano verde chiaro e le foglie verde scuro della rucola e infine taglio l’erba cipollina per aromatizzare il tutto. Aggiungo anche dei pezzetti di pancetta abbrustoliti con le costine, un pizzico di sale e alcune gocce di aceto balsamico tradizionale e un filo di olio di oliva extra vergine. L’opera d’arte era pronta. In quell’insalatiera c’era tutto il mio amore!

Luciana

Ricetta

Ingredienti: radicchi rossi di campo, sedano, rucola, erba cipollina pancetta stesa, sale, olio extra vergine di oliva, rosmarino, aglio, costine di suino.

Lavare le verdure, tagliare la radice dei radicchi lasciando intera la rosetta, tagliare le altre verdure, più o meno grossolanamente, tagliare finemente l’erba cipollina, condire con olio, aceto e sale, infine aggiungere i cubetti di pancetta abbrustolita. Condire la carne a fine cottura con sale, aglio e rosmarino tagliati finemente. Portare in tavola.

 

Le rose dell’amicizia

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Questa non è una ricetta legata alla mia infanzia… anzi è una ricetta presa da un giornale anni fa. Tutti conosceranno la torta di rose ma per me è diventata “le rose dell’amicizia”. Tutte le volte che ci si incontra tra amici, per dare il benvenuto ad uno nuovo oppure ancora quando io arrivo in un posto nuovo per me dove non conosco nessuno o solo poche persone… ebbene sì faccio questo dolce!!! Con burro e zucchero, con marmellata o con nutella… è sempre un successo! Aggrega tutti ed io lo chiamo: “le rose dell’amicizia”. E sono tanti i ricordi di serate magiche.

Imma

Ricetta
Ingredienti: Per l’impasto: 500 gr farina 00, 100 gr zucchero, 1 busta di vanillina, 1 pizzico di sale, scorza grattugiata di un limone, 2 uova, 3 cucchiai di olio, 150 ml latte tiepido (37-40°C), 1 cubetto di lievito x pizza (10 gr), Per farcire: 100 gr burro a temperatura ambiente,100 gr di zucchero (oppure si può farcire a piacere con nutella o marmellata ).
In una terrina mettere farina, zucchero, vanillina, sale, scorza di limone, uova, olio. Amalgamare il tutto aggiungendo un po’ per volta il latte tiepido in cui è stato sciolto il lievito. Lavorare l’impasto su spianatoia. In una terrina far lievitare x 1 ora e mezza. Per la farcitura lavorare il burro a crema, aggiungendo gradatamente lo zucchero. Con un matterello stendere l’impasto in una sfoglia rettangolare, spalmarvi la crema di burro (nutella o marmellata a scelta) e quindi arrotolare la sfoglia dal dal lato più lungo.Tagliare il rotolo in 12 pezzi uguali e sistemarli in uno stampo (Ø 26 cm) foderato con carta da forno. Porre a lievitare ancora per 1 ora. Infornate per 40 minuti a 180 °C nella parte media del forno (ovviamente fare la prova stuzzicadenti). ….e le rose dell’amicizia sono pronteee…..buon appetito!!

Fontana Dugoni

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Una biolca di terra in prossimità di Ponte Sant’Ambrogio nel Comune di San Cesario. Un bassocomodo sorretto da quattro contrafforti con la bocca del forno sulla parete nord. Intorno solo prato. Siepi autoctone e una parete di sempreverdi. La Vite. Alti fusti, disposti a mezza luna, tra cui una quercia assai vigorosa. Due pioppi e un prugnolo a ricordo delle coltivazioni più intense del passato. Due porte da calcetto. Un lungo tavolo in legno costeggiato da due panche che poggiano sulle solide ruote di ferro di un vecchio carro agricolo. Una striscia luminosa di piccole luci si accendono al crepuscolo. La legnaia. La casetta di legno con dentro tutto il necessario. Si inaugura il 25 Aprile e si prosegue fino a Settembre. Si sta alla buon aria. La grande griglia canadese circolare raccoglie nel suo ventre parabolico il letto di braci. Si mesce il vino e si cuociono le carni. Sua maestà il maiale ci finisce sempre in mezzo. La qualità è il macellaio di fiducia, il buon risultato è dato dall’esperienza del cuocerlo al momento e per il tempo giusto. Il grande orto, curato da mani esperte, fornisce il resto. C’è ampio parcheggio per la compagnia che è l’ingrediente principale per rendere speciale questa ricetta. Il luogo ha sempre portato il nome della strada: Bagnese. E’ un’eredità di famiglia nata da una rocambolesca divisione, avvenuta 15 anni fa, di un piccolo podere che nostro padre aveva in comproprietà. Noi, che siamo in 4 fratelli, abbiamo pensato solo a condividerlo ed a conservare le ricette di vita contadina lì apprese. Nel tempo sono state fatte diverse migliorie per renderlo più accogliente ed accessibile. Fu così che prima di tutto portammo l’acqua e mettemmo una fontana. Sandro venne a cena con tutta la famiglia, e mentre raccontava una nuova ricetta intorno a fuoco, ribattezzò il luogo così come lo chiamiamo oggi: Fontana Dugoni.

Albano

Ricetta

Ingredienti: Terra, Aria, Acqua, Fuoco, Amicizia

Che meraviglia i Varenjkji !

Varenjkji

E’ stato cinquant’anni fa che dopo una ‘partita’ a tennis mi trovai tra gente parlavano di mangiare citando trattorie, ristoranti e loro specialità. Io ero solo uditore, i denari che passavano per le mie tasche bastavano per l’indispensabile a vivere. Se restavano mille lire erano per un libro. Che gioia grande era, ed ancora è, comperarlo, farlo mio.

Ma una volta Giorgio mi inchiodò dicendomi : “E tu, Antonio, perché non sei dei nostri, non ti piace mangiare bene … diverso da come si mangia a casa ? ” Al che, risposi ridendo : “ Oh si, ieri ho mangiato ‘diverso’ : sono andato da mia madre a mangiare i verenjkji.” Silenzio di nebbia, stupore di assurdo. E continuai: “Si, mia madre è russa, si chiama Olga Alexandrovna Rakowskj e i ‘varenjkji’ sono un mangiare russo che voi neanche … ” Non riuscii a continuare il mio scherzoso dire che mi interruppe Adriano: “ Mi prenoto ! ” e gli altri a seguire.

E fu così che portai i quattro amici a mangiare i varenjkji da mia madre che abitava ancora nell’ex campo di concentramento di Fossoli. Loro non sapevano che noi profughi Istriani eravamo sistemati in quel tristo posto. Notai in loro un forte imbarazzo che la gioviale ospitalità dei miei genitori ben presto cancellò. Grande fu la soddisfazione nel vedere gli amici entusiasti del cibo strano e dell’atmosfera familiare creatasi, tanto che nel tempo incontrandoci mi esprimevano ancora con tono entusiasta : “ Che meraviglia i ‘varenjkji’ di mamma Olga ! “

Antonio

 

Ricetta dei varenjkji

Bollire le patate, schiacciatele. Soffriggere delle cipolle tagliate a piccoli pezzi in olio di semi di girasole. Tirare la sfoglia (farina di grano, acqua e sale) di un certo spessore.

Dalla sfoglia ricavare dei tondi di 7/8 centimetri. Mescolare la cipolla fritta con le patate lessate, mettere un’ abbondante presa di questo ripieno appoggiato in mezzo al tondo di pasta e quindi chiuderlo schiacciando il bordo.

Bollire questi ‘tortellotti’ e poi in una terrina condirli con altra cipolla rossa e olio di semi di girasole. E … pancia mia fatti capanna

Il Nocino

Sul davanzale della camera della cara nonna Fosca c’era sempre, d’estate al sole, un grande vaso di vetro che inondava di riflessi la stanza e conteneva un liquido scuro. Un giorno chiesi alla zia che cosa fosse e mi disse che era il nocino, che era un liquore da “grandi” e noi piccoli di casa non potevamo berlo.
Veniva bevuto dopo i pranzi importanti ed offerto agli ospiti.
Quando sono diventata grande anch’io, ho chiesto alla zia la ricetta del nocino e nel corso degli anni l’ho un po’ modificata, soprattutto nel tempo di infusione, che era rigorosamente di 40 giorni.
Le noci dovrebbero essere raccolte per S. Giovanni (il 24 giugno), ma se la stagione e’ molto calda si deve anticipare la raccolta perché  devono essere ancora prive del guscio interno.

Dolores, Associazione Culturale “L’Incontro”

Ricetta

Ingredienti: 35 noci (sempre un numero dispari), 1 litro di alcool, 650 grammi di zucchero, 350 grammi di acqua, 5 chiodi di garofano, 4 centimetri di scorza di cannella.

Tagliare le noci in 4 parti e metterle in un vaso di vetro a chiusura ermetica con l’alcool, la cannella e i chiodi di garofano. Tenere il vaso al sole il più possibile, scuoterlo spesso e metterlo in casa quando viene freddo. Ai primi di febbraio bollire l’acqua con lo zucchero per alcuni minuti e lasciare raffreddare. Filtrare il liquido del vaso e unirlo all’acqua e allo zucchero,  poi metterlo in una bottiglia scura con un tappo che chiuda benissimo. Tenere in un luogo buio per almeno un anno, meglio di più. Bere dopo i pranzi, anche se non “importanti”, perché è un piacere berlo e aiuta la digestione. E state sicuri che l’anno dopo i vasi sul davanzale al sole saranno 2, poi 3 ecc… E potrete anche fare un bel regalo ai vostri amici.

Il cibo unisce il mondo

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Negli anni 90 anche a Modena, come in altre realtà, il fenomeno immigratorio andava assumendo dimensioni sempre più consistenti. Davanti a quell’onda impetuosa e improvvisa eravamo tutti chiamati a superare ataviche resistenze e ad abbattere le barriere pregiudiziali, per trovare un punto d’incontro e di condivisione. Erano tempi nuovi e strani, durante i quali camminavamo fianco a fianco senza conoscerci, sotto i portici del centro, tra la folla locale del mercato guardavamo le prime donne velate, con un misto di curiosità e diffidenza, e nella babele di accenti che si sovrapponevano alle inflessioni dialettali, si iniziava a prendere coscienza di una città che non aveva più un solo volto. Giorno dopo giorno, seppur lentamente, si delineava il profilo di quella componente sociale chiamata integrazione che da arcano temuto, si andava consolidando come risorsa e patrimonio collettivo.

C’era allora a Modena, in via Archirola, un circolo ricreativo di quelli cosiddetti “alternativi”, quando l’alternativa non era altro che un appellativo per designare un luogo di ritrovo tra persone di diversa origine e provenienza. Per chi come me aveva in quel periodo poco più di vent’anni, e per i tanti che necessitavano di un punto di riferimento, quel luogo ha funzionato come collante tra tradizione e globalizzazione, attraverso una serie di elementi di cui uno è senza dubbio, il cibo. Nelle tante serate di musica, dibattiti, confronti, le note delle canzoni, delle parole si combinavano con le note speziate ed esotiche di un piatto che ci faceva sedere alla stessa tavola, svelandoci e rivelandoci le varie identità, ogni volta sempre meno estranee. I nostri palati abituati ai classici sapori emiliani, non ci misero molto ad appassionarsi al gusto insolito e invitante di quei fagottini di pasta sfoglia ripieni di carne macinata, uova sode e uva passa. Era sempre un piacere scoprire che ci sarebbe stata un’altra cena a base di “empanadas”, ancora più un piacere vederle accanto alle bottiglie di lambrusco, ai piatti di salame e mortadella, su una tavola imbandita da tutto ciò che nel cibo è tradizione, costume e vita, come sintesi di un incontro nel quale il vissuto individuale diventa vissuto collettivo.

Cinzia

Ricetta

Ingredienti: carne macinata, uova sode, uva passa, chili

In una pentola con l’olio soffriggere la cipolla e l’aglio; aggiungere il chili, il pomodoro, la carne macinata e l’uva passa precedentemente ammollata. Cuocere le uova sode e aggiungerle tritate all’impasto. Preparare la pasta sfoglia, formare dei dischi di circa 10 cm di diametro e riempirli con il composto. Cuocere in forno a 200 gradi per circa 30 minuti.

 

 

“Senza uova? Un budino di cioccolata senza uova?”

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La ricetta del Budino senza uova, proviene dal ricettario della mia famiglia, un’agenda del 1967, su cui mia sorella trascrisse le ricette che fino ad allora erano state scritte su un quadernino di scuola a quadretti. Si scelse di utilizzare l’agenda per la sua praticità: la pagina di ogni giorno dell’anno ben conteneva una ricetta scritta in modo chiaro e ben leggibile, mentre la rubrica telefonica allegata serviva per rintracciare facilmente le varie ricette. Con il passare degli anni al primo nucleo di trascrizioni si aggiunsero altre grafie: la mia, quella di mia zia ed infine quella di mia madre che chiude il ricettario con la “torta dura”. Mia madre, orgogliosa delle sue origini mantovane, faceva questa torta come sua madre ed ha sempre serbato il segreto di questa ricetta, adducendo che “andava ad occhio” come si faceva un tempo, quando le cucine non avevano le precise bilance elettroniche di oggi. “Vado ad occhio”, diceva a me e a quelli che volevano sapere i dosaggi, e non rivelava nulla. È stata dunque per me una dolce sorpresa quando, dopo la sua morte, mi sono accorta di questa scrittura: è come se mi avesse lasciato il suo segreto, perché rimanesse viva la tradizione familiare della torta dura, di cui ancora si dice in città tra coloro che l’ assaggiarono.

 

Budino senza uova

“Senza uova? Un budino di cioccolata senza uova?”

Quando si hanno nuovi ospiti con i quali occorre fare bella figura, l’esperta zia Fanny diceva: ”mai fare un piatto nuovo, che non si è mai sperimentato quando vengono degli ospiti !” Il menù non deve puntare solo su alcuni piatti, ma deve essere un crescendo, fino alle ultime portate e il dolce in questo caso, pur nella sua semplicità d’esecuzione, svolge senza dubbio questa funzione. Una semplice besciamella a cui si aggiunge ovviamente lo zucchero e il cacao amaro per dare sapore e colore. Chi poi non l’ha mai assaggiato chiede perplesso: “ Senza uova? Un budino di cioccolato senza uova?”. “Proprio così!”

Non sono a conoscenza se tale modalità risale a tempi di ristrettezze economiche come durante l’autarchia o la guerra, tempi che spinsero donne virtuose a trovare questa astuzia.

So invece che il ‘budino senza uova’ oltre ad essere buonissimo, viene dal ricettario della carissima vicina di casa e amica di famiglia, la maestra Lola, compagna di tanti pomeriggi passati a chiacchierare sulle avventure e disavventure di una maestra di campagna nei primi decenni del secolo scorso, mentre le sue mani nodose erano intente a fare continuamente pizzi all’uncinetto.

Questo budino poi si presenta bene, fa scena: ha un color marrone molto scuro, carico, elegante se si utilizza lo stampo con scanalature ed arabeschi che creano un bell’effetto. Nel buco centrale del budino un’arguzia: si riempie di una mousse dolce e liquorosa di color giallo-ocra che scende in tanti rivoli sul piatto da portata, è lo zabajone cotto aggiunto all’ultimo momento ancora tiepido sul budino freddo. Il contrasto dei colori, la consistenza del budino, la sua corposità e la leggerezza, quasi l’evanescenza dello zabajone… sono un tripudio di forme, colori, sapori che fanno ben presto sostituire alla perplessità iniziale, la certezza che si è gustato qualche cosa di sublime!

Maurizia

Budino senza uova

1 l  di latte

1 hg di burro

1hg di farina

1hg di zucchero

1hg di cacao

Si fa la besciamella, poi si aggiunge lo zucchero e il latte stemperando bene. Quando questo composto bolle aggiungere a parte il cacao e 3-4 cucchiai di zucchero. Far bollire questa crema per alcuni minuti, poi versarla in uno stampo imbevuto di liquore a piacere. Mettere il dolce in frigo e servire con zabaglione cotto o panna montata.

 

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