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La turta d’ patat…..

Oggi festeggiamo il compleanno di un’Amica, dobbiamo farle una festa a sorpresa e Valentina efficientissima, ha già pensato a tutto, ha comperato i fiori, i pasticcini e ha messo il vino in frigorifero…….  ma ci vediamo alle 17.30 e magari anche un po’ di salato non guasta…… cosa posso fare io? Ho deciso, posso regalare a Mirella una torta semplice semplice che mi ricorda questi giorni di autunno, gli ultimi che trascorrevo in montagna dalla zia prima di tornare a Modena e ricominciare la scuola. Le giornate si facevano sempre più fredde, la “melina” (nebbia) calava sui castagneti di fronte a casa e sulla stufa economica, La Sovrana (vanto della zia e ormai rigorosamente accesa da una decina di giorni), il pentolino con le patate veniva messo a bollire…  l’odore in cucina di terra, di caldo, di quel l’amore e complicità che solo una zia ti sa dare.

La brina sui vetri, le patate sono cotte e fumano nel colapasta,  sulla finestra il bricco del latte munto la sera prima che aveva fatto un abbondante dito di panna, il macina pepe che sprigionava un profumo intenso, forte, avvolgente che mi faceva starnutire e il sole che calava dietro a Montalbano. “Guglie Guglie corri a prendere le uova nel pollaio che viene buio…. che quando torni la turta l’è prunta…”. Questa torta salata, povera di ingredienti ma ricca di ricordi e di affetti perduti, oggi la preparo per te, per raccontarti di me, e dell’emozione che provo tutte le volte che schiaccio le patate…….

Guglielmina (Commissione per le pari opportunità -C.P.O. del  Comitato unitario delle professioni intellettuali -C.U.P.)

Ricetta

Ingredienti: 1 kg circa di patate, 100 g. di Parmigiano Reggiano 30 mesi grattugiato, 100 g. di pecorino grattugiato, 200 g di panna da cucina, una manciatina di pan grattato, sale q.b. e mezzo cucchiaino da caffè di pepe, comunque da dosarsi a piacimento.

Prendere le patate, lavarle e cuocerle con la buccia, schiacciarle con lo schiaccia patate a buchi piccoli, aggiungere i formaggi grattugiati, la panna il sale ed il pepe che sarebbe opportuno macinarlo al momento. Mescolare bene il tutto, il composto deve risultare come un purè molto sodo, prendere una teglia rettangolare (io generalmente uso una pirofila) foderarla con carta da forno, ungerla leggermente con olio d’oliva e spolverarla con il pan grattato (giusto un velo) posateci il composto e con le mani livellatelo e lisciatelo bene (magari aiutandovi con la parte convessa di un cucchiaio e un goccio di latte o acqua, ma pochissima), con i rebbi della forchetta rigare la superficie con segni di sbieco alle pareti della teglia nei due sensi tanto da ricavare un disegno a rombi, spolverare con una manciatina di pan grattato, la torta non dovrà superare i 15 millimetri circa di altezza, altrimenti non si cuoce bene. Infornare in forno preriscaldato per circa  30’ a 160°, comunque la nostra leccornia è cotta quando avrà formato una crosticina ben dorata, a questo punto aprite il forno e lasciatela intiepidire rigorosamente all’interno del forno. Una volta veniva mangiata per cena tiepida, io ora consiglio di gustarla sia tiepida che fredda, come stuzzichino per l’aperitivo o una merenda tra amici.

Un piatto di costine ai ferri e un tegame di radicchi rossi

Tutto inizia con una telefonata e un invito.”Ciao, come stai? Hai voglia di una pizza stasera?”. “Ok va bene … ma… se ti va… potremmo trovarci a casa mia, in campagna. Il camino è acceso da oggi pomeriggio, potremmo farci un piatto di costine alla brace!”. “Ottimo! Porto io le costine e il vino, tu raccogli dall’orto quello che trovi per un’insalata. Ciao, ci vediamo alle otto”. La telefonata è giunta alle diciannove circa, soltanto che era già buio pesto e non sapevo come trovare la verdura, tra l’altro eravamo verso la fine di Novembre e il mio orto non era rigoglioso. Mi metto gli stivali di gomma per non infangarmi fino alle caviglie, rovisto in un cassetto e trovo un mozzicone di candela, una torcia sarebbe stato meglio. Non vedevo niente, c’erano fango ed erbacce dappertutto, ma piano piano, aiutandomi col tatto ho individuato l’aiuola dei radicchi, ne ho raccolti una sporta, poi ho seguito la rete metallica di confine e ho raccolto un mazzolino di erba cipollina, senza difficoltà, poiché appena la sfiori manda un aroma intenso. Aiutata dalla candela, che per fortuna non si è spenta, ho individuato l’aiuola della rucola e il ciuffo di sedano che sovrastava le erbacce. Nella sporta di plastica avevo gli ingredienti per la felicità! Una volta entrata in casa è incominciata la magia. Il camino era pieno di braci rosse, avrebbero cotto anche un tacchino, non solo le costine. Insieme prepariamo la cena. Lui si occupa della griglia, io della verdura. Dispongo le rosette di radicchio rosso di campo in una grande insalatiera, sembravano davvero rose, le guarnisco con alcune foglioline di sedano verde chiaro e le foglie verde scuro della rucola e infine taglio l’erba cipollina per aromatizzare il tutto. Aggiungo anche dei pezzetti di pancetta abbrustoliti con le costine, un pizzico di sale e alcune gocce di aceto balsamico tradizionale e un filo di olio di oliva extra vergine. L’opera d’arte era pronta. In quell’insalatiera c’era tutto il mio amore!

Luciana

Ricetta

Ingredienti: radicchi rossi di campo, sedano, rucola, erba cipollina pancetta stesa, sale, olio extra vergine di oliva, rosmarino, aglio, costine di suino.

Lavare le verdure, tagliare la radice dei radicchi lasciando intera la rosetta, tagliare le altre verdure, più o meno grossolanamente, tagliare finemente l’erba cipollina, condire con olio, aceto e sale, infine aggiungere i cubetti di pancetta abbrustolita. Condire la carne a fine cottura con sale, aglio e rosmarino tagliati finemente. Portare in tavola.

 

Ravioli con la ricotta

Le ricette della mia tradizione sono legate alla Storia della mia famiglia (sono di origine lucana e precisamente di Montemurro che ha dato i natali a Leonardo Sinisgalli), in particolare a mia nonna che ha tramandato ai figli e poi a noi nipoti la sua passione per la cucina, il volerla condividere con la famiglia e gli amici. In particolare sono legata ad un primo tipico “ravioli di ricotta dolci con ragú di carne e pecorino”.

Maria Assunta
Ricetta
Ingredienti: (PER 8 PERSONE) Ripieno: 600 g di ricotta, un uovo, 100 g di  zucchero. Fare la pasta all’uovo. Fare il ripieno mescolando bene con una forchetta. Stendere la sfoglia, fare delle strisce di 10 cm e preparare i ravioli. Lasciare la sfoglia ai lati abbondante almeno 1 cm. Lessare delicatamente in acqua bollente e condire con sugo di carne e pecorino grattugiato.

La festa dei nati in marzo

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…. da sette anni lavoro qui a Modena e da sette anni nel mese di marzo si organizza una bellissima festa “mangereccia” per festeggiare i tanti nati in questo mese, me compresa!
Artefice dei tanti dolci, tutti fatti in casa, Anna Maria, amica, confidente, collega di lavoro e da pochi mesi un altro Angelo in cielo. Ho raccolto le sue ricette e i suoi consigli su come cucinare da “brava modenese” dopo 30 anni di sole ricette siciliane. E lo faccio solo adesso, perchè ho sempre chiesto le sue ricette mentre mangiavo da Lei o i cibi che mi portava, adesso mi toccherà leggere e sperimentare pensando ai consigli dati. La torta che non è mai mancata in questi anni è stata la torta di mandorle, da Lei chiamata la torta nera, sapeva che piaceva a molti!

Valentina (Commissione per le pari opportunità – C.P.O del Comitato unitario delle professioni intellettuali – C.U.P.)

Ricetta
Ingredienti: 300 gr. di mandorle da pelare, 300 gr. zucchero, una noce di burro, 50/60 gr. di cacao e cioccolato in polvere, un pizzico di sale, un pò di sassolino, 3 uova.
Pelare e tostare le mandorle, devono diventare scure, poi tritarle da fredde fino a farle diventare una pastina e aggiungere tutti gli ingredienti ed infine mettere il tutto sulla pasta (1/2 kg farina 00, 175 gr. zucchero, 3 uova, 100 gr. burro, 1 pizzico di sale e un pò di latte). Infornare a 170° per 40 minuti.

Le rose dell’amicizia

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Questa non è una ricetta legata alla mia infanzia… anzi è una ricetta presa da un giornale anni fa. Tutti conosceranno la torta di rose ma per me è diventata “le rose dell’amicizia”. Tutte le volte che ci si incontra tra amici, per dare il benvenuto ad uno nuovo oppure ancora quando io arrivo in un posto nuovo per me dove non conosco nessuno o solo poche persone… ebbene sì faccio questo dolce!!! Con burro e zucchero, con marmellata o con nutella… è sempre un successo! Aggrega tutti ed io lo chiamo: “le rose dell’amicizia”. E sono tanti i ricordi di serate magiche.

Imma

Ricetta
Ingredienti: Per l’impasto: 500 gr farina 00, 100 gr zucchero, 1 busta di vanillina, 1 pizzico di sale, scorza grattugiata di un limone, 2 uova, 3 cucchiai di olio, 150 ml latte tiepido (37-40°C), 1 cubetto di lievito x pizza (10 gr), Per farcire: 100 gr burro a temperatura ambiente,100 gr di zucchero (oppure si può farcire a piacere con nutella o marmellata ).
In una terrina mettere farina, zucchero, vanillina, sale, scorza di limone, uova, olio. Amalgamare il tutto aggiungendo un po’ per volta il latte tiepido in cui è stato sciolto il lievito. Lavorare l’impasto su spianatoia. In una terrina far lievitare x 1 ora e mezza. Per la farcitura lavorare il burro a crema, aggiungendo gradatamente lo zucchero. Con un matterello stendere l’impasto in una sfoglia rettangolare, spalmarvi la crema di burro (nutella o marmellata a scelta) e quindi arrotolare la sfoglia dal dal lato più lungo.Tagliare il rotolo in 12 pezzi uguali e sistemarli in uno stampo (Ø 26 cm) foderato con carta da forno. Porre a lievitare ancora per 1 ora. Infornate per 40 minuti a 180 °C nella parte media del forno (ovviamente fare la prova stuzzicadenti). ….e le rose dell’amicizia sono pronteee…..buon appetito!!

I brownies di Jane

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Forse non tutti/e sanno che Saint Paul (Minnesota, USA) è gemellata con Modena. Nell’ambito di questo gemellaggio nel 1989 sono iniziate le missioni di Jane (docente di diritto presso Hamline University) a Modena. Si sono sviluppati i rapporti fra le due università e gli scambi di docenti fra le due città. Durante una visita di Jane a Modena è nata, oltre a una splendida amicizia, l’idea di uno scambio di ricette. Ed ecco quindi una delle prime sperimentazioni. I brownies di Jane.

Tindara (Commissione per le pari opportunità -C.P.O. del  Comitato unitario delle professioni intellettuali -C.U.P.) e Jane (Hamline University, Saint Paul)

Ricetta
Ingredienti: Per impasto: 240 gr di burro, 112 gr di cioccolato fondente, 180 gr di farina, 1 cucchiaino di lievito istantaneo, 1 cucchiaino di sale, 4 uova, 240 gr di zucchero, 1 cucchiaino di vaniglia, 240 gr di noci. Per la glassa: 240 gr di zucchero a velo, 2 cucchiai e mezzo di latte caldo, 28 gr di cioccolato, 22 gr di burro, un pizzico di sale.
Sciogliere il cioccolato e il burro e raffreddare. Mescolare farina, lievito e sale. Sbattere le uova, aggiungere lo zucchero e unificare il mix di farina e, ad ultimo, burro e cioccolato. Aggiungere vaniglia e noci. Porre in uno stampo rettangolare e cuocere per mezz’ora a 175 gradi. Controllare il centro per assicurarsi della cottura. Rimuovere dal forno e raffreddare.
La glassa: mischiare burro e cioccolato e quindi aggiungere il composto allo zucchero e al latte, aggiungere un pizzico di sale e un mezzo cucchiaino di vaniglia. Spalmare la glassa sui brownies.
Quindi: SLICE AND ENJOY. Si può aggiungere gelato alla vaniglia.

Seimani-trecuori 14 agosto 1971

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L’occhio fotografico del ricordo visualizza la prima immagine: Cielo violaceo, messaggero di un incombente temporale. Una colonna… un banale pilastro in pietra di un cancelletto stanco. Qualcosa di bianco sventola sul capitello come un ferito battito d’ali. Sappiamo bene tutte noi cosa sventolasse su quel capitello. Seconda immagine: un paio d’ occhi neri aggrappati al vetro di una pallida finestra. Non sono i soli però. A pochi metri di distanza palpitano altre ciglia ammutolite. Tre cuori molto giovani avevano deciso, per festeggiare il dodicesimo compleanno di una amica, di impastare con le loro mani una torta di cioccolata. Che eccitante lavorio quella mattina… e nel pomeriggio dello stesso giorno ci sarebbe stata finalmente la festa! Ed io corsi a casa senza respiro, perchè l’ora concessami era scaduta. Poi, qualcos’altro combinai perchè, un momento prima di raggiungere le amiche, giunse alle mie orecchie una negazione materna. Il “non vai” fece eco per tutte le stanze e rimbalzò per tutto il minuscolo quartiere. Terza immagine: esercito della salvezza. Anche quando arrivaste con la fetta di torta, la sentenza non cambiò. Il piatto rimase appoggiato sul capitello dell’esile pilastro. Alla fetta di torta non fu permesso di varcare la soglia e il bianco, protettivo tovagliolo di carta continuerà a battere nel vento il non tempo. E’ questa dunque l’ultima immagine di una delle mille nostre avventure? Il banale pilastro in realtà era una colonna votiva: la nostra amicizia ricevette il dono dell’eternità.

Morena

Ricetta

Ingredienti: 150 gr. di farina, 150 gr di cacao amaro, 150 gr. di zucchero (a questa dose io aggiungo altri 6-8 cucchiai di zucchero) mezzo bicchiere di caffè, due uova, una dose di lievito, latte q.b.

Nella Terrina unire farina, cacao amaro, zucchero (alla dose io aggiungo altri 6-8 cucchiai di zucchero) mezzo bicchiere di caffè, due uova, una dose di lievito cicogna, e lentamente qualche goccio di latte (ora utilizzo il latte di mandorla) affinchè l’impasto conquisti la giusta consistenza. Mescolare bene e utilizzare una tortiera del diametro di cm.22, Porre in forno già caldo a 180° per 25 minuti. Attendere che la torta si raffreddi e spolverizzarla con zucchero a velo.

 

Gli gnocchi

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Era da poco finita la seconda guerra mondiale che aveva affamato e causato tanto dolore alla popolazione. Non ricordo però che la fame abbia interessato la mia famiglia, nonostante fosse formata da mamma, papà e sette figli, quattro femmine e tre maschi. Non eravamo ricchi, abitavamo in provincia di Modena a San Giacomo R., frazione di Mirandola dove lavoravamo come affittuari, 18 biolche di terra da cui traevamo di che vivere. Il cibo non ci è mai mancato anche se durante la guerra dovevamo “nasconderlo” dagli invasori “i tugnein” che spesso riuscivano a sottrarcelo mettendo a rischio la nostra stessa vita. Anch’io pur essendo poco più che una bimba dovevo contribuire dando l’erba medica alle mucche, pulendo la stalla o raccogliendo le verdure dell’orto che coltivavamo solo per nostro uso. Al mercato era destinato la gran parte della produzione: grano, granoturco, barbabietole, latte uova e frutta. E oltre a pesche, ciliegie, alle piccole pere di San Pietro, c’era l’uva. I filari delimitavano i campi coltivati e costeggiavano il canale Diversivo.
Una domenica ricevemmo la visita inaspettata dello zio Evaristo che in bicicletta, una normalissima bicicletta nera, voleva raggiungere il lago di Garda. Era partito da Modena, dove abitava, ed era arrivato proprio all’ora di pranzo per rifocillarsi un pò prima dei tanti chilometri che lo attendevano. Mah… non so se al Lago di Garda ci sia mai arrivato; lo zio Evaristo è ritornato altre volte a trovarci ma di quella domenica particolare non se ne è più parlato. Forse perché tutti sapevano che era una scusa: lo zio Evaristo voleva semplicemente mangiare il piatto della domenica, gli gnocchi di patate conditi con il ragù di carne!
Sono passati tanti anni da allora, gli gnocchi di patate li preparo ancora anche se al ragù di carne ho sostituito, per mantenermi in forma, il ragù con pomodoro e basilico.

Elia – Associazione Culturale  “L’Incontro”

Ricetta
Ingredienti: 1 kg  di patate,  ½ kg di farina, un po’ di sale (solo nell’acqua di cottura delle patate), parmigiano grattugiato, basilico.
Cuocere in una casseruola le patate ricoperte di acqua con un pizzico di sale. Una volta cotte, pelare e schiacciare le patate con lo schiaccia patate. Sul tagliere impastare la farina con le patate schiacciate. Si formerà un impasto dalla consistenza morbida.  Formare con l’impasto delle strisce a salsicciotto dello spessore di un dito. Tagliare le strisce formando tanti dadini di circa 2 cm. Prendere una grattugia ed utilizzando il retro con l’indice strisciare i dadini procedendo dal basso verso l’alto. Ecco gli gnocchi.
Cuocere in acqua bollente gli gnocchi e scolarli dopo 1-2 minuti che sono venuti a galla. Condirli con sugo di pomodoro e basilico e con tanto tanto Parmigiano grattugiato.

Conejo alla cacciatora

Tante sarebbero state le ricette che mi hanno accompagnato dalla mia infanzia, i tortellini della nonna Anna, mancata da poco, il cous cous della nonna Adriana, simbolo delle loro origini e di come con tanta forza si può  rivoluzione e migliorare la propria vita,  ma è di una, recente, che ho deciso di parlarvi. Quella di un un ricordo così forte, emozionante, diretto come quella del primo Ti amo detto dal tuo ragazzo. Non perché quelle delle mia infanzia non siano piene d’amore, perché se credete così vi sbagliate di grosso, ma solo perché con lui ho conosciuto l’amore vero, quell’amore che non proviene dalla famiglia, ma da un estraneo che nel giro di poco tempo diventa il tuo compagno, il tuo alleato, il tuo sostenitore, quell’amore da favola, quell’amore che anche se è terminato ti lascerà sempre un’emozione indescrivibile nella memoria: quella del primo vero Amore. La ricetta in questione è quella del Coniglio alla Cacciatora, o meglio, come lo chiamava lui, con il suo adorato spagnolo, il conejo. Sapete non ho mai amato il coniglio, mi rifiutavo sempre di mangiarlo ma con lui era diverso, l’ho cucinato e mangiato tutte le volte che riuscivamo a vederci, perché come si fa a dire no quando due occhi come i suoi, neri, intensi ti guardano pieni di amore e ti chiedono: me lo cucini oggi il conejo? Ecco come ho preparato il coniglio alla cacciatora per il primo pranzo dopo quel Ti amo. E quella volta, a differenza di tutte le altre, ci ho messo dentro tutte l’emozione che quel Ti amo aveva scaturito in me, perché ricordatevi sempre una cosa: “si cucina sempre pensando a qualcuno, altrimenti stai solo preparando da mangiare” ed è quella la magia che rende speciale un piatto. Non ho più mangiato il coniglio alla cacciatora, solo il sentirlo nominare mi provoca nausea, non lo cucinerò mai più, non sarebbe la stessa cosa senza di lui. Ma rimarrà sempre la ricetta di vita che ricorderò con intensità e amore.

Francesca

Ricetta

Ingredienti: un coniglio in parti, un peperone giallo, pelati, passata di pomodoro, scalogno, cartone, sedano, sale, pepe.

Si prepara il soffritto, carote, un gambo di sedano, al posto della cipolla, il suo adorato scalogno, e si lascia rosolare per qualche minuto. intanto si tagliano le patate a cubetti, non esageratamente piccoli ma neanche grandissimi perché altrimenti si rischia che rimangano dure. Si uniscono al soffritto insieme al coniglio dopo averlo pulito e lavato accuratamente. Il tutto si sfuma con un bicchiere di vino bianco. Si fa cuocere così a fuoco basso per 10 minuti, mescolando di tanto in tanto, e solo successivamente si aggiungono i pelati e un pó di passata e si aggiusta di sale e pepe. Si lascia cuocere con un coperchio per una ventina di minuti mescolando di tanto in tanto. Successivamente si sposta il coperchio in modo che passi dell’aria in modo che il pomodoro si “solidifichi” e diventi un sugo e si lascia cuocere per altri 10-15 minuti. Se le patate non sono ancora cotte si lascia il tutto sul fuoco fino a quando non hanno raggiunto la cottura perfetta.

Ricordo nostalgico della mia infanzia: il rito e la cultura del caffè in Eritrea

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Quando ero piccola e vivevo nel mio lontano paese, sono cresciuta in una cultura dove il valore dell’ospitalità e dell’accoglienza erano fondamentali. E questi principi mi hanno accompagnata, per tutta la vita, anche fuori dal mio paese. Ogni tanto nelle ricorrenze di festività tradizionali cerco di rivivere quei momenti magici, invitando a casa mia, qui a Modena, amiche di diverse nazionalità e cultura, per condividere questo rito dell’ospitalità e dell’accoglienza del caffè, con molta nostalgia e commozione, perché mi ricorda la mia infanzia e giovinezza. Questo rito, unico nel suo genere, ha origini molto antiche e consiste nell’accogliere calorosamente gli ospiti che arrivano a casa, e dopo essersi accomodati, si offre subito da mangiare e bere. Poi si iniziano i preparativi per il rito del caffè. Viene addobbato con erba fresca per terra e la stanza viene profumata bruciando l’incenso e buttando per terra dei pop-corn come segno di benvenuto, così si crea un’atmosfera magica; poi senza chiedere agli ospiti se gradiscono il caffè ( perché nella mia cultura non si chiede mai cosa vuole l’ospite, viene considerato un’offesa e mancanza di rispetto ) si prepara e basta. Il caffè nel mio paese viene definito una bevanda dell’amicizia e dell’incontro, è un momento di ritrovo, dove le persone coinvolte hanno la possibilità di socializzare, confrontarsi e discutere di qualsiasi argomento. Il procedimento consiste con l’iniziare ad accendere il braciere e poi procedere con la tostatura dei chicchi di caffè crudo davanti all’ospite, il fumo che si sprigiona è simbolo di prosperità, per poi fare sentire il profumo del caffè ai presenti, uno alla volta, per augurargli un lieto destino e lunga vita; solo dopo si può passare alla macinazione ed infine ci si accinge a mettere il caffè macinato in una caffettiera di terracotta, di nome Jebena, la quale verrà messa a bollire sul fuoco di carbonella. Una volta pronto, viene lasciato riposare per pochi minuti ed infine servito in tre fasi diverse per la degustazione: si inizia con una prima tazza (finjal), chiamata nel rituale “awel“, man mano che le conversazioni con gli ospiti procedono si passa alla seconda tazza chiamata “kala’ai awel“, per poi concludere il rituale con la terza dal nome emblematico, “bereket“, per sottolineare l’abbondanza e la benedizione della casa durante il rito e la degustazione. Concludo questo racconto magico e nostalgico, con l’estendervi un invito per mostrarvi dal vivo questo rito e questa cultura dell’ospitalità, perché è uno spettacolo vederlo e gustare tutto l’aroma del caffè. Il rituale del caffè può durare fino a due ore di degustazione, conversazione in amicizia e cordialità.
Zighereda

Ricetta

Ingrediente: caffè crudo dall’Eritrea…