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Sforniamoci: sformato di patate casalingo

La domenica sera finalmente si sta tutti e 4 assieme in famiglia e questa ricetta fattibile da tutti anche da bambini è diventata x noi occasione di cucinare assieme. Il papi pela le patate bollenti, la figlia grande le affetta sottili, il figlio piccolo grattugia il formaggio e taglia la mozzarella poi la mami dispone tutto secondo ricetta e inforna. Amo cucinare con gli altri chiaccherando o ballando le canzoni di Mtv e il risultato è una ricetta semplice poco costosa ma gustosissima specie per chi ha familiari pataccari ( ovvero amanti delle patate in tutte le forme) come me. Buon appetito e ricordate il grill a fine cottura per dare al tutto quella crosticina croccante che scricchia sotto i denti.

Simona

Ricetta

Ingredienti: Per 4 persone: 1,6 kg di patate, 200 gr di prosciutto cotto, 3 mozzarelle,  parmigiano grattugiato, una teglia antiaderente da forno, qualche fiocco di burro.

Bollire le patate e tagliarle a rondelle sottili. Posizionare la carta da forno sulla teglia e adagiare le patate per coprire il fondo, mettere straccetti di mozzarella e di prosciutto cotto, coprire con buona dose di parmigiano reggiano. Rifare uno o due altri strati e nell’ultimo mettere solo patate e formaggio e qualche fiocco di burro. Infornare a 200 gradi per 20 minuti e negli ultimi 5 inserire il grill.

 

Parpadlon in brod

E’ una storia nella storia che arriva da lontano tramandata dalla nonna di mio suocero alla sua mamma e probabilmente adattata nel tempo. La ricetta e’ povera e figlia di anni in cui si faceva da mangiare con poco e gli ingredienti evocavano il desiderio di qualcosa di più’ che non si aveva. La poca pancetta del ripieno dei parpadlon che si scioglieva nel brodo caldo permetteva di avere un condimento ricco di sapore anche se scarso in quantità’. Il brodo rigorosamente “matto” immaginava la carne senza possederla. E mentre mio suocero racconta, a me sembra di essere seduta a quella tavola ove si condivideva il gusto ed il sapore di quel poco cibo disponibile che doveva comunque bastare.

Mara (Commissione per le pari opportunità -C.P.O. del  Comitato unitario delle professioni intellettuali -C.U.P.)

Ricetta
Ingredienti: 4 uova, 2 tuorli, farina, 400 gr di pancetta, croste di parmigiano grattugiate, brodo matto
Preparare il brodo “matto” con avanzi di verdura e resti di ossa di pollo con residui di carne che devono bollire per 1 h circa. Tirare la sfoglia con il matterello e distribuirvi la pancetta rosolata tagliata a dadini, spolverare con parmigiano ottenuto grattugiando le croste. Ripiegare la sfoglia e tagliare quadretti di 1 cm per lato da versare nel brodo.

 

 

Il brodo della domenica

brodo

Ricordo il brodo della domenica. Nei giorni festivi il profumo del brodo inondava la casa. Appena alzata mia madre “metteva su” il brodo. Il brodo è un liquido caldo, che con il suo aroma inebria chi vive la casa, li invita ad un assaggio mentre li intrattiene con questa piccola sensazione di rugiadoso che fa traspirare, sbuffando di tanto in tanto con nuvolette di vapore, dal coperchio del tegame. Sì perché il brodo si ricava con l’ausilio di una grossa pentola, più alta che larga, doverosamente munita di coperchio e il fuoco se dapprima deve essere forte e vigoroso, una volta raggiunta l’ebollizione, questa va mantenuta a fiamma lenta, affinché il contenuto non venga sballottato di qua e di là al suo interno.
Alla ebollizione si dovrà provvedere ad aggiungere un pugnetto di sale e per chi lo gradisce una crosta di parmigiano reggiano, ben lavata e “grattata” nella superficie con un coltello a lama liscia. I tempi sono personali, anzi personalissimi, ma suggerisco di non avere fretta, un buon brodo necessita di almeno quattro ore di ebollizione.
Gli ingredienti sono molto importanti, il manzo, qualche osso con cartilagine ed il cappone. Assolutamente bandite le verdure, gli odori, le foglie e le spezie. Il brodo della domenica è rigorosamente estratto dalla carne e per questo gli ingredienti vanno inseriti in acqua fredda ben lavati ed asciutti.
Al termine il brodo si presenta giallo paglierino e in superficie, dove la parte più grassa fa capolino, compaiono i classici “occhi” che lo contraddistinguono.
Una volta filtrato, ricordo che la mia mamma procedeva con l’assaggio, che consente di aggiustarlo di sale e di coglierne il sapore, che in ogni famiglia è unico ed irripetibile. È ottimo per essere accompagnato ai tipici tortellini emiliani, piuttosto che ai tradizionali capelli d’angelo, sorseggiando questa meravigliosa bevanda calda s’immerge nel tepore che questo alimento genera ad ogni cucchiaio, conferendo vigore ed energia.

Gian Carla (Commissione per le pari opportunità -C.P.O. del  Comitato unitario delle professioni intellettuali -C.U.P.)

Ricetta
Ingredienti: Carne di manzo, cappone, acqua, sale.
Inserire in un tegame gli ingredienti (carne di manzo e cappone) riempire di acqua fredda, portare a ebollizione, abbassare la fiamma, aggiungere il sale e far cuocere per circa quattro ore. Filtrare e servire.

Ravioli con la ricotta

Le ricette della mia tradizione sono legate alla Storia della mia famiglia (sono di origine lucana e precisamente di Montemurro che ha dato i natali a Leonardo Sinisgalli), in particolare a mia nonna che ha tramandato ai figli e poi a noi nipoti la sua passione per la cucina, il volerla condividere con la famiglia e gli amici. In particolare sono legata ad un primo tipico “ravioli di ricotta dolci con ragú di carne e pecorino”.

Maria Assunta
Ricetta
Ingredienti: (PER 8 PERSONE) Ripieno: 600 g di ricotta, un uovo, 100 g di  zucchero. Fare la pasta all’uovo. Fare il ripieno mescolando bene con una forchetta. Stendere la sfoglia, fare delle strisce di 10 cm e preparare i ravioli. Lasciare la sfoglia ai lati abbondante almeno 1 cm. Lessare delicatamente in acqua bollente e condire con sugo di carne e pecorino grattugiato.

Carola!

La cucina è stata l’ambiente più vissuto e vivace della mia adolescenza, dove chiacchiere, confidenze e rimproveri non smettono mai di risuonare nella mia memoria. Qui mia madre passava la maggior parte del suo tempo: raccontava il passato con i suoi fantasmi di guerra, cuciva, ospitava le vicine e le amiche, conversava animatamente con noi e con mio padre. Era lui a stabilire il menù in base a quello che gradiva e la mamma si organizzava sempre per accontentarlo. Chi faceva la spesa era lui, ma se si rifiutava di comprare qualcosa, allora intervenivo io.
Se mi concentro e penso ad allora tutto era facile e semplice. Ai miei occhi di bambina sembrava tutto un gioco: aiutare mamma a cucinare, cucire o fare la spesa. Poi crescendo si è complicato tutto. La mamma certo aveva il suo gran da fare, ma non si è mai scoraggiata: era sempre contenta anche nelle turbolenze familiari. La cucina e cucinare erano parte di lei. Quasi tutto le riusciva bene e questo rendeva felice mio padre, che spesso si intrometteva con i suoi consigli autoritari e sgraditi, spesso fonte di battibecchi. D’altro canto lui era molto di aiuto in casa e cercava, a suo modo, di essere sempre all’altezza delle aspettative familiari.
I tempi non consentivano, economicamente parlando, grandi possibilità, ma in cucina non mancava nulla. La mamma faceva la pasta in casa, più volte la settimana, condita con il ragù. Ben poca se ne mangiava di confezionata! Cucinava sempre lo gnocco e la pizza e la domenica non mancavano mai i dolci e le paste. Per la gioia di tutti i golosi della famiglia mamma aveva alcune specialità che ha sempre ripetuto negli anni: era bravissima a fare i tortelli ripieni fritti, le frittelle di mele, le pesche con la cioccolata e il budino. Ma era la pizza il piatto preferito da tanti parenti e il motivo di molte riunioni conviviali durante le feste.
Visto che la mia è stata una famiglia di golosoni vorrei descrivere un dolce: lo Stracchino della Duchessa ( Cassata gelato).

Maria

Ricetta
Ingredienti: 2 hg. di burro, 2 hg . di zucchero a velo, 1 hg. di cioccolato fondente (tavoletta), Crema al limone di 4 uova solo tuorlo o tre uova se si usa l’albume, Canditi quantità a piacimento, 15 savoiardi di buona qualità.
Si prepara la crema al limone e si lascia raffreddare molto bene, nel frattempo si pone il pannetto di burro all’esterno del frigorifero in modo che si possa mescolarlo con lo zucchero a velo fino a formare una crema morbida. Quando la crema all’uovo è fredda, si toglie l’eventuale pellicina che si è formata in superficie, e si aggiunge alla crema di burro un cucchiaio alla volta per amalgamare bene, per ultimo si aggiungano i canditi e la cioccolata tagliata a pezzi. Si prepari una ciotola con i savoiardi imbevuti di liquore dove versare la crema, si copra per mettere in freezer.
Personalmente ai savoiardi preferisco il Pan di Spagna; il liquore è a piacimento, io ho usato del Cointreau, del Maraschino e un poco di Sassolino.
E’ un dolce molto ricco e calorico, il burro può essere sostituito con la ricotta.

Una tazza di latte e caffè

Se penso al primo ricordo che ho del caffè, mi viene in mente un liquido nero conservato in un pentolino blu sotto il lavandino della casa della mia infanzia. Mia nonna lo preparava una volta alla settimana. Solitamente il sabato. Ricordo bene la ricetta, perchè il giorno prima della preparazione della bevanda, mi mandava al botteghino della Jolanda e mi faceva comperare: una confezione di VECCHINA, una confezione di MISCELA LEONE, due confezioni di OLANDESE MORETTO, e mezzo etto di CAFFE’ BUONO.
Questi erano gli ingredienti precisi che, ben miscelati prima, e fatti bollire nell’acqua poi, producevano il liquido nero dal vago profumo di caffè. Ma il rito non finiva qui. Bisognava essere pazienti e aspettare che si rafreddasse, poi che si “deponesse il fitto”. Finalmente l’infuso era pronto. il suo profumo si sprigionava di nuovo ogni mattina quando incontrava il latte fumante nelle tazza della colazione. La nonna lo prelevava con un mestolino di alluminio e stava ben attenta a non affondarlo troppo per non muovere “il fitto”. A noi bambine ne dava poche gocce solo per macchiare il latte, ai grandi invece ne dava un bel mestolino pieno perchè, diceva lei, dava energia per lavorare. Dopo aver servito tutti, ne preparava una tazza anche per lei, la riempiva di pane vecchio, fino a far star ritto il cucchiaio, e mangiava con noi. Il rito era completato e la giornata poteva cominciare. Mi sono emozionata scrivendo questo ricordo. Il rito della colazione fatta insieme alla mia famiglia e il caffè, ora preparato con la moka, segnano ancora l’inizio della mia giornata.

Angela

Ricetta
Ingredienti: una confezione di Vecchina, una confezione di Miscela Leone, due confezioni di Olandese Moretto mezzo etto di caffè buono.
Stendere un foglio di carta gialla o carta da zucchero sul tavolo. Aprire le confezioni e versare il contenuto sulla carta. Con l’ aiuto di un cucchiaio mescolarle bene. Far bollire in un pentolino circa due litri di acqua , versarvi la polvere e portare ad ebollizione. Togliere la schiuma che si forma in superficie e lasciare rafreddare e deporre il fitto. Il risultato è una bevanda che potrete conservare fuori dal frigo per una settimana. Ha il sapore del caffè d’orzo e la consistenza del caffè turco … potete provarla a patto che troviate gli ingredienti!!

Oggi è la tua festa, mamma

frittata donatella

Percorro la Via Emilia, ma non vedo quello che mi circonda, penso. E gli occhi mi si riempiono di lacrime. Non ha senso che tu ti consumi in un letto, immobile e con lo sguardo vuoto nei pochi minuti di veglia. Ancora mi riconosci ma probabilmente fra poco non più. Gli anni sono tanti, superiore alle aspettative medie di vita; ma questo non attenua il dolore che opprime e si allenta solo in assenza del pensiero. Il dolore si alimenta di questa lenta agonia.
Sono accanto a te nella stanza silenziosa e sfoglio una vecchia agenda rossa del 1978. Anni fa, prima della moda televisiva di “tutti chef” avevi trascritto in questa agenda alcune ricette che poi ricopiavi per darne copia alle amiche con la tua calligrafia precisa di inizio ‘900, frutto di una rigida educazione in orfanatrofio, più che dei pochi anni trascorsi sui banchi di scuola. Una ricetta semplice, ma che con il tempo ha ottenuto sempre più successo tra i tuoi nipoti, è la “Frittata” con la quale riuscivi a far mangiare gli spinaci a bimbi altrimenti riottosi.
Donatella (Associazione Culturale “L’Incontro”)

Ricetta
Ingredienti: Frittata (dose per due): 2 uova, 1 hg di spinaci cotti sminuzzati e schiacciati per liberarli dall’ acqua, 2 cucchiai di pan grattato, 4 cucchiai di parmigiano grattugiato, un pizzico di sale, un po’ di noce moscata grattugiata.
Sbattere le uova con due cucchiai di acqua fino ad ottenere un composto schiumoso.
Aggiungere ed incorporare gli spinaci, il pane grattugiato, il parmigiano, il sale, la noce moscata; scaldare una padella antiaderente e versare il composto.
Quando la frittata si stacca dalla padella la si gira con una paletta. Lasciare cuocere per altri 5 minuti il composto e poi prima di mangiare si canta insieme:

Vedo la luna, vedo le stelle,
vedo Caino che fa le frittelle,
vedo una tavola apparecchiata,
vedo Caino che fa la frittata……

La magia gialla

polenta_Primo

Ricordi. Ricordi di un bambino, ricordi di una nonna amorevole dolce e protettiva, ricordi di poco cibo ma tanta allegria. Ricordi di un camino grande, appoggiato ad un muro di una grande stanza ed un fuoco acceso, un paiolo nero e bruciacchiato appeso al centro, fin quasi ad appoggiarsi al fuoco. Fuoco scoppiettante si schiocchi che salivano e scaldavano l’acqua. Al centro della stanza una grande tavola di legno con qualche tarlo. Sul tavolo un sacchetto impolverato che conteneva farina color giallo: la polenta.
Ed ecco il rito quasi magico ai miei occhi, compiuto con gesti di grande sapienza ed oculatezza dalla nonna nel versare e rimescolare, con il grande mestolo di legno, quello che ai miei occhi sembrava solo acqua colorata di giallo.

Poi il mio stupore nel vedere quell’acqua colorata, che si addensava come la plastilina che usavo per i miei giochi.
Quando i tempi dettati dal calore, sotto il vigile controllo della nonna, erano compiuti, veniva il rito del lento, lento rovesciamento del paiolo in una grande pentola che sarebbe stata appoggiata sul tavolo: che profumo ! era pronto !

Così ogni giorno c’era un’alternanza di variazioni: polenta con i fagioli, polenta con i funghi, polenta ‘da sola’ . Il mio ricordo più goloso rimane quello della polenta con lo zucchero, che bontà ! .
Soltanto crescendo, molti anni dopo capii che era il cibo dei poveri. Cibo per poveri di ‘danari’, ma ricchi di gioia, di amore per il prossimo, di fratellanza e mutua assistenza.
Questa è ancora oggi per me, la vera magia di un piatto di polenta.

Primo

 

Ricetta per la Polenta

2 litri di acqua, 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva, 1 cucchiaio di sale grosso, 1/2 kg di farina di mais

Si comincia mettendo l’acqua in una pentola fino a portarla in ebollizione. Aggiungere il sale grosso, l’olio, la farina gialla di mais un pò alla volta, lentamente evitando che si formino i grumetti, e iniziate subito a mescolare con un mestolo di legno. Occorre mescolare sempre nello stesso verso, facendo girare lo strato profonso con quello più in alto mantenendo un composto omogeneo. Se la polenta diventa dura e compatta aggiungere un mestolo di acqua calda, tornerà morbida. Girate, girate, girate la polenta senza cedimenti finchè inizia a staccarsi dai bordi della pentola. Continuate la cottura altri venti minuti: la polenta più si cuoce più viene buona.

Quando sarà pronta versatela su un tagliere di legno e portate in tavola. Si può mangiare accompagnata con ciò che preferite. La polenta e’ buona anche nella versione più semplice, tagliata a fette con burro e formaggio che si scioglieranno per il calore…

Tutto era facile e felice. Era la Vigilia

PIETRO_spagh.scoglio

È il 24 dicembre, è mattina, ho appena 6 anni, mia madre viene a svegliarmi e mi avvisa che essendo Vigilia, quella sera saremo andati tutti a mangiare dalla nonna Cristina.

Giunge la sera ed eccomi entrare a casa della nonna, sento subito vari odori come, pesci fritti, vongole e cozze fresche, papacelle con polpo e sedano. .. scorgo anche tanti dolci a volontà !

Con i mie cugini mi fiondo sotto all’albero per tastare cosa c’è dentro ai regali impacchettati.. Tanti sorrisi, e sapori si mescolano.

Questa ricetta più che stuzzicarmi il palato mi stuzzica la mente. Ricordo i profumi che ora mi evocano i ricordi tra i più dolci, delle vigilie con nonni, cugini e parenti, dove tutto era un sorriso e un sapore, dove tutto era facile e felice.

Pietro

 

Ricetta per spaghetti misto allo scoglio

Ingredienti

linguine, vongole e cozze, pomodorini ciliegina, aglio, pepe nero

Far scaldare in una padella dell’olio extra vergine a fiamma vivace, aggiungere l’aglio e il pepe per insaporire. Con ancora la fiamma vivace versare le cozze e le vongole, sfumare con vino bianco, dopo 12-15 minuti aggiungere i pomodori ciliegino. Controllare il sugo, ci vorranno 25/30 minuti. Dopo i primi 13minuti di cottura delle linguine, scolare e aggiungere il sugo.

Impiattare con una spolverata di prezzemolo.

Mia madre, il sugo “finto” e il sugo “vero”

Sono diventata una cuoca dopo la sua morte.
Sembrava reciso il legame tra noi due e questo ha fatto sì che, stranamente, in qualche misterioso modo, io sia diventata lei. E non solo per l’ovvio motivo che ora la nonna sono io, ma perché le somiglio sempre più. Lo vedo, talvolta trasalendo, quando capito davanti ad uno specchio un po’ distrattamente e mi sembra di vedere lei, lo stesso suo sguardo; me lo dicono parenti e amici. Lo vedo anche dal fatto che mi vengono in mente, improvvisamente e spontaneamente – per una sorta di memoria involontaria – i suoi gesti, il suo modo di fare il pane, di tirare la sfoglia per far le tagliatelle, di fare il “polentone” sul paiolo di rame, china per più di mezzora sopra il fuoco, rossa e sudata.
Come molte ragazzine, ero allora poco attenta alle cose domestiche, alla cucina, alle ricette, alle procedure, ai gesti che oggi invece rivedo nitidamente in sequenza, che ricostruisco e ripeto con naturalezza, ma con impegno, come un rito di memoria e di identificazione.
E mi prende un rimpianto tenero per il suo modo naturale e semplice, talvolta quasi brusco, di essere generosa, di voler bene ai poveri, ai piccoli, a chi ha fame, a chi ha perduto il marito o il figlio in guerra, a chi non sa scrivere; sempre in movimento a portare, quando poteva, un filoncino di pane bianco e un goccio d’olio (“cenano con l’insalata scondita…”) ai vicini, pieni di figli e di miseria; sempre a cucinare patate, fagioli in umido o pasta con sugo “finto” ( il sugo “vero” era di carne) per quelli della Camera del lavoro o del Partito, che arrivavano da Macerata a fare il comizio o la riunione ed erano sempre affamati…

Maria Teresa

Ricetta del sugo “finto”

Nel nostro orto-giardino c’erano alcuni alberi da frutto e molti ortaggi, insieme a piante aromatiche e fiori; una palma altissima, diversi oleandri e hibiscus, un grande fico piantato da mia nonna negli anni ’20 del Novecento (non l’ho conosciuta, morirà nel 1934), e, soprattutto, tra casa e orto, una grande terrazza con due pergolati di uva fragola, che mio nonno in parte aveva innestato con Sangiovese o Montepulciano, non ricordo bene. Ne ricavava, da queste uve miste, una piccola botte di leggero vinello piuttosto aromatico, che serviva nelle sere fredde d’inverno, con l’aggiunta di zucchero, chiodi di garofano e un po’ di cannella, a fare il vin brulé.
È la fragola a restituirmi ancora l’odore e il sapore dolce dell’infanzia, quei chicchi opachi di colore violaceo, che spizzicavo tra ronzii di vespe e altri insetti, senza neppure aspettare che maturassero pienamente. Nel periodo più caldo dell’estate la luce verde, fresca e ombrosa delle viti fittamente intrecciate veniva incontro a chi saliva la scala che portava al piano superiore, dove orto e giardino erano collocati, perché la casa era costruita su terreno in declivio.
Nell’orto si coltivavano fave e piselli dolcissimi, insalate, zucchine, pomodori, aglio e cipolle, ma c’erano anche erbe odorose e grossi cespugli di rosmarino, salvia, timo, menta, basilico, nepitella, borragine che spiccava con i suoi fiori azzurro-viola.

La preparazione del cibo in tempi magri era un grande terreno di azione e fantasia per mia madre e per tutte le madri. È bello rievocare il “sugo finto”, che era un sugo di pomodoro e olio d’oliva, profumato con cipolla o aglio, basilico, maggiorana, peperoncino e sostituiva, secondo mia madre indegnamente, il sugo di carne.
Il segreto del sugo finto era la freschezza dei pomodori dell’orto, l’olio di oliva locale, le verdure, ossia cipolla, sedano, carota, aglio; ed infine gli “odori”, basilico e altre erbe profumate. A questo sugo, che non doveva bollire molto, si adattava benissimo il pecorino ben stagionato dei monti Sibillini (il parmigiano arriverà alla nostra tavola dopo la guerra, negli anni ’50).
Talvolta, soprattutto nel periodo del maiale, il sugo “finto” veniva arricchito con un pezzetto di pancetta tritata, o di guanciale, o di lardo. E cessava così di essere “finto”.

 

Ricetta del sugo “vero”

Ma la domenica non si badava a spese; venivo mandata il sabato in macelleria con cento lire e tornavo a casa con un cartoccio di ossi di manzo, cartilagini e poca carne a pezzi; più raramente, veniva ucciso un pollo e mamma stava ore a pulire le interiora e persino le budella, che, ben lavate e finemente tagliuzzate, finivano nella padella del ragù insieme a testa, ali e zampe. Se si aggiungeva a questi ingredienti un poco di carne bovina macinata e una salsiccia, ecco il ragù marchigiano dei giorni delle grandi ricorrenze, destinato alle tagliatelle tirate col matterello e anche alle lasagne marchigiane, che vengono ancora chiamate “vincisgrassi” o “princisgrassi”.
La principale differenza di questo ragù rispetto a quello bolognese consisteva in alcuni ingredienti come il lardo tagliuzzato, le rigaglie di pollo insieme a macinato bovino e in alcune spezie come chiodi di garofano, che si infilavano nella cipolla. Era dunque un ragù con molte carni, dal pollo al maiale al manzo.
Certo, gli animali, pur con parsimonia, venivano uccisi e mangiati, era una dura necessità. Ma era affettuoso il rapporto di mia madre con le galline, sembrava in qualche modo paritario: come fossero persone, le chiamava per nome, le rispettava, ci parlava, le accudiva con cura e le insultava solo quando mangiavano il prezioso uovo appena deposto; e soffriva nell’ucciderle.
Il maiale aveva il suo “stalletto” nell’angolo dell’orto più lontano dalla casa, tra un grande fico e dei sambuchi. In gennaio veniva ucciso, di mattina presto, ed io mi svegliavo alle sue urla acute e disperate. Provavo pena per lui, ma mi distraevo subito con tutto il tramestio che seguiva, il sangue che veniva bollito, spezzato in cubetti e in gran parte, secondo l’uso, distribuito ai vicini insieme ad alcune frattaglie, per essere poi fritto con olio e cipolla costituendo una gustosa e pesantissima cena.