E poi finalmente era la Vigilia di Natale. La casa addobbata a Festa si riempiva di parenti. Noi eravamo già in sette, io e i miei fratelli con i miei genitori e i nonni materni, più gli zii e i cugini di Modena e di Bologna arrivavamo al ragguardevole numero di 18 persone in un appartamento di 85 metri quadrati. La tradizione voleva che ogni famiglia contribuisse al menù portando una propria specialità e naturalmente un regalo per tutti.
Ma la cosa più sorprendente era il carico con cui arrivavano da Bologna lo zio Andrea e la zia Bianca e i miei cugini Nicola e Simona. Ricordo una FIAT 500 carica all’inverosimile, con portapacchi, su cui capeggiava un grande contenitore con le “rose della zia Bianca”. Potete facilmente immaginare come tra lo spazio occupato dai 4 passeggeri con i bagagli necessari per fermarsi una notte a Modena (non si poteva mica tornare indietro nel cuore della notte) e dai 18 regali, fosse stato necessario montare il portapacchi (come quando si partiva per le lunghe vacanze estive) per trovare uno spazio adeguato ed evitare lo schiacciamento delle “rose” che proprio per la loro fattezza erano molto fragili e delicate.
All’arrivo erano la prima cosa da scaricare e da controllare: ce l’avevano fatta anche quest’anno ad arrivare intatte? Ed erano l’ultima cosa che si mangiava per la cena della Vigilia di Natale dopo la mezzanotte, dopo l’apertura dei regali. Erano l’inizio e la fine dei festeggiamenti, che si concludevano spesso leccandosi le dita rimaste sporche dallo zucchero caramellato con cui le “rose” erano ricoperte.
In mezzo c’era tanta confusione, tante parole, tante risate, tanti giochi con le carte a sette e mezzo e tra cugini che spesso finivano con delle lacrime per un regalo conteso e con la minaccia: “smettetela altrimenti ce ne andiamo. Ci rivedremo solo quando sarete cresciuti… magari fidanzati o sposati!”.
Non so per quanti anni lo abbiamo fatto, sicuramente per quasi una ventina, sì perché lo abbiamo fatto anche dopo che ci eravamo trasferiti nella casa di Soliera agli inizi degli anni Ottanta, dove finalmente c’era uno spazio più adeguato.
Poi le esigenze sono cambiate, sono arrivati fidanzatini e fidanzatine, la famiglia cresceva e la tradizione ha dovuto modificarsi ma non è scomparsa grazie alla mia mamma Adriana che ha imparato a fare anche le “rose della zia Bianca”. Credo, con il senno del poi, che anche lei non abbia voluto rinunciare al significato profondo che quel dolce, le “rose della zia Bianca”, aveva assunto per la nostra famiglia: il piacere dello stare insieme nel condividere una festa come il Natale.
Caterina
Ricetta
Ingredienti: farina 5 etti, 5 uova intere, ½ Kg zucchero, 1 litro d’olio
Per fare la pastella: impastare farina e uova. Con la macchinetta tirare la pastella e realizzare delle strisce larghe almeno due cm. Stenderle su un canovaccio. Mettere 1 litro d’olio in una pentola alta. Friggere le strisce di pastella una alla volta arrotolandole per ottenere la forma delle rose aiutandosi con una forchetta. Far raffreddare le rose.
Per fare il miele: in una pentola abbastanza capiente mettere ½ litro d’acqua, un limone spremuto, ½ Kg zucchero e far bollire il tutto per 10 minuti. Prendere un bicchiere di acqua fredda mescolarlo al composto in ebollizione e attendere che ribolla: il miele è pronto quando al tatto resta appiccicoso e abbastanza denso. A questo punto immergere una alla volta le rose nella pentola del miele per poi riporle, man mano, in una grande terracotta andando a costruire una composizione piramidale. Alla fine dell’operazione se avanza del miele lo si può aggiungere versandolo direttamente sulle rose.
Le “rose della zia Bianca” sono un dolce, fatto con una lunga striscia di pasta friabile che mentre viene fritta si fa arrotolare su se stessa assumendo appunto la forma di una rosa. Completa il dolce un caramellato con cui si cospargono una volta raffreddate.