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La sbrisolona

Quando ero piccola, mia mamma preparava spesso questa torta, la Sbrisolona, e lasciava apposta tutti i pezzi “sbriciolati” nel piatto sul banco della cucina, per farmeli mangiare.

Elena

Ricetta
Ingredienti: 2 hg farina, 1 hg mandorle, 1 hg zucchero, 1 hg burro
Mescolare tutti gli ingredienti ed infornare a 180 gradi per circa 30 minuti.

Sfogliata con le mele

Tanti grammi di farina, un pizzico di follia, zucchero secondo il proprio gusto e necessità, della cannella per speziare bene….. Per un impasto ottimale ci vuole pazienza a volontà, abbinata ad una buona dose di diplomazia. Sì, la vita è un bell’impasto e per ottenere la sua giusta consistenza serve consapevolezza, determinazione e spirito di adattamento alle varie intemperie. Tutto va impastato con amore, altruismo e anche umiltà.
La vita è come una torta, bella da vedere, profumata, ti invita ad assaggiarla e ad assaporarla fino in fondo. A volte alcune fette possono essere difficili da digerire. Arrivano momenti in cui c’è bisogno di rimpastare tutto, aggiungere nuovi ingredienti, attendere una lenta lievitazione, cuocere con il cuore e con la mente. La ricetta ha qualcosa di personale, di unico, si rinnova e si tramanda ogni volta.
La ricetta che vi propongo, mia madre Agapia, in Romania, la realizzava utilizzando il burro preparato da lei, le uova delle sue galline e le mele del proprio giardino, tutto autenticamente biologico, e il sapore era “unico”. In inverno, quando si ammazzava il maiale, il burro veniva sostituito con un lardo particolare (osinza) ricavato dalla pancia dell’animale e la sfoglia diventava soffice e si apriva come un fiore.

Violetta

Ricetta
Ingredienti: per la Pasta sfoglia: 350 gr. di farina, 1 cucchiaio di olio, 5 cucchiai di panna (si può sostituire con ulteriori 3 cucchiai di olio), 1 cucchiaio di succo di limone, un pizzico di sale, 200 ml di acqua a temperatura ambiente, 250 gr. di burro, 7 cucchiai di farina.
Fare un impasto in una terrina con il burro a temperatura ambiente ed i 7 cucchiai di farina, deve risultare una crema morbida. Impastare gli altri ingredienti finché il tutto diventi una palla soffice.
Sulla spianatoia infarinata tirare l’impasto di spessore di 5 mm, spalmarvi la crema di burro sopra, arrotolarlo per la lunghezza e poi formare una girella, coprirla con un canovaccio e metterla nel frigo per 30′.
Sbucciare le mele, grattugiarle usando i fori grandi, lasciarle sgocciolare.
Dividere l’impasto a metà e ogni parte tagliarla in tre e sovrapporle. Tirare una sfoglia di 5 mm, appoggiarla in una teglia grande unta e infarinata. Cospargere di pangrattato e aggiungere le mele strizzate, la cannella e lo zucchero. Coprire con l’altra sfoglia, bucherellarla con la forchetta, spennellare con il tuorlo d’uovo, infornare a 160-180° per 30 minuti. Quando è ancora calda tagliarla a cubetti e cospargerla con zucchero a velo.

Il brodo della domenica

brodo

Ricordo il brodo della domenica. Nei giorni festivi il profumo del brodo inondava la casa. Appena alzata mia madre “metteva su” il brodo. Il brodo è un liquido caldo, che con il suo aroma inebria chi vive la casa, li invita ad un assaggio mentre li intrattiene con questa piccola sensazione di rugiadoso che fa traspirare, sbuffando di tanto in tanto con nuvolette di vapore, dal coperchio del tegame. Sì perché il brodo si ricava con l’ausilio di una grossa pentola, più alta che larga, doverosamente munita di coperchio e il fuoco se dapprima deve essere forte e vigoroso, una volta raggiunta l’ebollizione, questa va mantenuta a fiamma lenta, affinché il contenuto non venga sballottato di qua e di là al suo interno.
Alla ebollizione si dovrà provvedere ad aggiungere un pugnetto di sale e per chi lo gradisce una crosta di parmigiano reggiano, ben lavata e “grattata” nella superficie con un coltello a lama liscia. I tempi sono personali, anzi personalissimi, ma suggerisco di non avere fretta, un buon brodo necessita di almeno quattro ore di ebollizione.
Gli ingredienti sono molto importanti, il manzo, qualche osso con cartilagine ed il cappone. Assolutamente bandite le verdure, gli odori, le foglie e le spezie. Il brodo della domenica è rigorosamente estratto dalla carne e per questo gli ingredienti vanno inseriti in acqua fredda ben lavati ed asciutti.
Al termine il brodo si presenta giallo paglierino e in superficie, dove la parte più grassa fa capolino, compaiono i classici “occhi” che lo contraddistinguono.
Una volta filtrato, ricordo che la mia mamma procedeva con l’assaggio, che consente di aggiustarlo di sale e di coglierne il sapore, che in ogni famiglia è unico ed irripetibile. È ottimo per essere accompagnato ai tipici tortellini emiliani, piuttosto che ai tradizionali capelli d’angelo, sorseggiando questa meravigliosa bevanda calda s’immerge nel tepore che questo alimento genera ad ogni cucchiaio, conferendo vigore ed energia.

Gian Carla (Commissione per le pari opportunità -C.P.O. del  Comitato unitario delle professioni intellettuali -C.U.P.)

Ricetta
Ingredienti: Carne di manzo, cappone, acqua, sale.
Inserire in un tegame gli ingredienti (carne di manzo e cappone) riempire di acqua fredda, portare a ebollizione, abbassare la fiamma, aggiungere il sale e far cuocere per circa quattro ore. Filtrare e servire.

Crostata al limone con meringa al limone

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Per me, che sono nipote e figlia di due “rezdore” di prim’ordine (nonna Anna e mamma Paola), non è stato facile vincere la paura del confronto con questi due “mostri sacri del matterello” e decidere di cimentarmi ai fornelli. Cosa mi ha convinta? il desiderio di sorprendere la mia mamma con un regalo speciale per il suo compleanno, la sua torta preferita, ossia la crostata con crema al limone, fatta da me con l’aggiunta della meringa al limone. Non ho ottenuto stelle Michelin ma la sua gioia e il suo apprezzamento sono stati indiscutibilmente il premio più gradito!

Jessica

Ricetta
Ingredienti: CREMA: 3 BUCCE DI LIMONE GRATTUGGIATE, 4 TUORLI, 2 CUCCHIAI DI MAIZENA,100 GR ZUCCHERO,1 BICCHIERE D’ACQUA. FROLLA: 200 GR FARINA,70 GR BURRO,1 UOVO INTERO,100 GR ZUCCHERO, ½ BUSTINA DI LIEVITO. MERINGA: 2 ALBUMI, 4 CUCCHIAI DI ZUCCHERO, SUCCO DI UN LIMONE.

Unire con le fruste elettriche lo zucchero e i tuorli poi aggiungere le bucce grattugiate la maizena e infine il bicchiere d’acqua. Cuocere a fuoco lento fino a ottenere una crema densa non grumosa, lasciarla raffreddare. Unire farina zucchero lievito e burro, aggiungere l’uovo e ottenere un composto omogeneo.
Imburrare e infarinare una teglia stenderci sopra la pasta lasciando un bordo di due cm
Versare la crema sulla pasta e cuocere in forno preriscaldato a 180°C x circa 20 minuti.
Nel frattempo montare a neve ferma gli albumi, aggiungere lo zucchero e infine il succo di limone, continuare a battere con le fruste fino a ottenere una crema densa.
Stendere la meringa sulla torta e cuocere x altri 5 minuti sino a quando la meringa è dorata.

Carola!

La cucina è stata l’ambiente più vissuto e vivace della mia adolescenza, dove chiacchiere, confidenze e rimproveri non smettono mai di risuonare nella mia memoria. Qui mia madre passava la maggior parte del suo tempo: raccontava il passato con i suoi fantasmi di guerra, cuciva, ospitava le vicine e le amiche, conversava animatamente con noi e con mio padre. Era lui a stabilire il menù in base a quello che gradiva e la mamma si organizzava sempre per accontentarlo. Chi faceva la spesa era lui, ma se si rifiutava di comprare qualcosa, allora intervenivo io.
Se mi concentro e penso ad allora tutto era facile e semplice. Ai miei occhi di bambina sembrava tutto un gioco: aiutare mamma a cucinare, cucire o fare la spesa. Poi crescendo si è complicato tutto. La mamma certo aveva il suo gran da fare, ma non si è mai scoraggiata: era sempre contenta anche nelle turbolenze familiari. La cucina e cucinare erano parte di lei. Quasi tutto le riusciva bene e questo rendeva felice mio padre, che spesso si intrometteva con i suoi consigli autoritari e sgraditi, spesso fonte di battibecchi. D’altro canto lui era molto di aiuto in casa e cercava, a suo modo, di essere sempre all’altezza delle aspettative familiari.
I tempi non consentivano, economicamente parlando, grandi possibilità, ma in cucina non mancava nulla. La mamma faceva la pasta in casa, più volte la settimana, condita con il ragù. Ben poca se ne mangiava di confezionata! Cucinava sempre lo gnocco e la pizza e la domenica non mancavano mai i dolci e le paste. Per la gioia di tutti i golosi della famiglia mamma aveva alcune specialità che ha sempre ripetuto negli anni: era bravissima a fare i tortelli ripieni fritti, le frittelle di mele, le pesche con la cioccolata e il budino. Ma era la pizza il piatto preferito da tanti parenti e il motivo di molte riunioni conviviali durante le feste.
Visto che la mia è stata una famiglia di golosoni vorrei descrivere un dolce: lo Stracchino della Duchessa ( Cassata gelato).

Maria

Ricetta
Ingredienti: 2 hg. di burro, 2 hg . di zucchero a velo, 1 hg. di cioccolato fondente (tavoletta), Crema al limone di 4 uova solo tuorlo o tre uova se si usa l’albume, Canditi quantità a piacimento, 15 savoiardi di buona qualità.
Si prepara la crema al limone e si lascia raffreddare molto bene, nel frattempo si pone il pannetto di burro all’esterno del frigorifero in modo che si possa mescolarlo con lo zucchero a velo fino a formare una crema morbida. Quando la crema all’uovo è fredda, si toglie l’eventuale pellicina che si è formata in superficie, e si aggiunge alla crema di burro un cucchiaio alla volta per amalgamare bene, per ultimo si aggiungano i canditi e la cioccolata tagliata a pezzi. Si prepari una ciotola con i savoiardi imbevuti di liquore dove versare la crema, si copra per mettere in freezer.
Personalmente ai savoiardi preferisco il Pan di Spagna; il liquore è a piacimento, io ho usato del Cointreau, del Maraschino e un poco di Sassolino.
E’ un dolce molto ricco e calorico, il burro può essere sostituito con la ricotta.

Oggi è la tua festa, mamma

frittata donatella

Percorro la Via Emilia, ma non vedo quello che mi circonda, penso. E gli occhi mi si riempiono di lacrime. Non ha senso che tu ti consumi in un letto, immobile e con lo sguardo vuoto nei pochi minuti di veglia. Ancora mi riconosci ma probabilmente fra poco non più. Gli anni sono tanti, superiore alle aspettative medie di vita; ma questo non attenua il dolore che opprime e si allenta solo in assenza del pensiero. Il dolore si alimenta di questa lenta agonia.
Sono accanto a te nella stanza silenziosa e sfoglio una vecchia agenda rossa del 1978. Anni fa, prima della moda televisiva di “tutti chef” avevi trascritto in questa agenda alcune ricette che poi ricopiavi per darne copia alle amiche con la tua calligrafia precisa di inizio ‘900, frutto di una rigida educazione in orfanatrofio, più che dei pochi anni trascorsi sui banchi di scuola. Una ricetta semplice, ma che con il tempo ha ottenuto sempre più successo tra i tuoi nipoti, è la “Frittata” con la quale riuscivi a far mangiare gli spinaci a bimbi altrimenti riottosi.
Donatella (Associazione Culturale “L’Incontro”)

Ricetta
Ingredienti: Frittata (dose per due): 2 uova, 1 hg di spinaci cotti sminuzzati e schiacciati per liberarli dall’ acqua, 2 cucchiai di pan grattato, 4 cucchiai di parmigiano grattugiato, un pizzico di sale, un po’ di noce moscata grattugiata.
Sbattere le uova con due cucchiai di acqua fino ad ottenere un composto schiumoso.
Aggiungere ed incorporare gli spinaci, il pane grattugiato, il parmigiano, il sale, la noce moscata; scaldare una padella antiaderente e versare il composto.
Quando la frittata si stacca dalla padella la si gira con una paletta. Lasciare cuocere per altri 5 minuti il composto e poi prima di mangiare si canta insieme:

Vedo la luna, vedo le stelle,
vedo Caino che fa le frittelle,
vedo una tavola apparecchiata,
vedo Caino che fa la frittata……

Una nuvola di zucchero a velo

rosoni

Farina candida
cade lieve sul tavolo
Una alla volta le uova si tuffano nel piccolo incavo creato dalle mani
Quattro tonfi gialli:
uno rotatorio
due in avanti
tre in avvitamento
e quattro rovesciato
Le uova affondano nella farina e nello zucchero.
Le mani stemperano, mescolano, impastano e amalgamano.
Energia, calore, forza e vitalità danno vita a un impasto morbido, dolce, tenero e soffice.
Le mani sono quelle di mia madre
Le guardo e vedo nei suoi movimenti maestria ed esperienza
Trasmettono amore materno.
Amo i Rosoni, sono simbolo di festa.
Piano piano le mani trasformano quell’ impasto in una sfoglia gialla, sottile
La ruzzola seghettata corre e taglia la bella sfoglia in tanti piccoli rombi.
Le mani materne intrecciano con abilità ereditata da madri e nonne
Lo strutto nel tegame sul fornello, si scioglie e sfrigola
I rosoni sono impazienti di immergersi in quel liquido caldo, vischioso e bello unto!!
Una volta avvolti dallo strutto, crescono e s’indorano
Io sono lì che ammiro lo spettacolo e sto aspettando il mio momento
Dal tegame passano al vassoio e le mie piccole manine fanno volare una nuvola carica di zucchero a velo.
E la magia prende vita!!

Susi

Ricetta

Ingredienti: Mezzo kg. di farina , 4 uova, 1 hg di zucchero ,1 bicchierino di grappa …………. e tanto zucchero a velo!!!
Impastare la farina con le uova, lo zucchero e il bicchierino di grappa. amalgamare fino a che l’impasto risulti ben unito e morbido.
Con il mattarello ( o “canela”) tirare lo sfoglio sottile e tagliare tanti piccole losanghe dove al centro faremo un piccolo taglio per intrecciare i rombi.

 

La vita come un lungo filo rosso, tra giostre e Cotolette al purè

cotoletta e purè_Claudio

C’è un piatto ricorrente nella mia infanzia e poi anche sucessivamente nell’adolescenza che contraddistingue e segna come un filo rosso praticamente quasi tutta la mia esistenza, sono le cotolette con il purè. E’ un piatto che evoca in me tanti ricordi legati alla mia famiglia e al luogo dove sono cresciuto. Sono Sito e per i primi decenni della mia vita ho seguito i miei genitori che spostandosi con la carovana andavano in vari paesi, soprattutto nel veneto ed in Emilia Romagna, per sagre e fiere installando le nostre giostre.

Ripensandoci oggi, vivevo in un eterno luna park, non solo per le giostre che mi circondavano e che avevo a disposizione ma anche per l’intesa, l’unione e l’amore che c’era tra me e i miei fratelli più grandi, mia sorella più piccola e i mie genitori. Alle età di dieci anni ci siamo stabiliti in provincia di Reggio Emilia in una casa bella e grande con un terreno intorno ma ogni tanto ci spostavamo con la carovana, non solo per le ferie. Ricordo in particolare un giorno, quando facevo la prima media, uscito da scuola invece di tornare a casa mi fermai all’oratorio a giocare, per diverse ore e quando finalmente tornai a casa nel pomeriggio, mia madre invece di rimproverarmi mi accolse con il sorriso facendomi trovare il mio piatto preferito tenuto in caldo nel forno: dieci cotolette ! !  … ed io affamato le divorai passandole nel purè caldo. Forse la mia mente di bambino non era in grado di capire pienamente la grande lezione d’amore che mia madre mi dava, ma il mio cuore sì, e penso che sia proprio per la tenerezza e la gioia che ho visto nei suoi occhi che quel giorno è rimasto impresso indelebilmente in me.

Claudio (di origine Sinti)

 

Ricetta per cucinare le cotolette con purè

Prendere delle fettine sottili di carne di manzo o maiale, o vitello. Per l’impanatura occorrono uova, formaggio grattugiato, pangrattato, prezzemolo tritato, olio d’oliva, pepe e sale. Passare le fettine di carne nell’uovo sbattuto poi passarle nel pangrattato, che contiene anche il prezzemolo e il formaggio tritati; ripetere l’operazione due volte. Friggete le fettine impanate in olio bollente e far riassorbire l’olio in eccesso su carta assorbente.

Per il purè io utilizzo quello in busta. Servire con una fetta di limone.

Mia madre, il sugo “finto” e il sugo “vero”

Sono diventata una cuoca dopo la sua morte.
Sembrava reciso il legame tra noi due e questo ha fatto sì che, stranamente, in qualche misterioso modo, io sia diventata lei. E non solo per l’ovvio motivo che ora la nonna sono io, ma perché le somiglio sempre più. Lo vedo, talvolta trasalendo, quando capito davanti ad uno specchio un po’ distrattamente e mi sembra di vedere lei, lo stesso suo sguardo; me lo dicono parenti e amici. Lo vedo anche dal fatto che mi vengono in mente, improvvisamente e spontaneamente – per una sorta di memoria involontaria – i suoi gesti, il suo modo di fare il pane, di tirare la sfoglia per far le tagliatelle, di fare il “polentone” sul paiolo di rame, china per più di mezzora sopra il fuoco, rossa e sudata.
Come molte ragazzine, ero allora poco attenta alle cose domestiche, alla cucina, alle ricette, alle procedure, ai gesti che oggi invece rivedo nitidamente in sequenza, che ricostruisco e ripeto con naturalezza, ma con impegno, come un rito di memoria e di identificazione.
E mi prende un rimpianto tenero per il suo modo naturale e semplice, talvolta quasi brusco, di essere generosa, di voler bene ai poveri, ai piccoli, a chi ha fame, a chi ha perduto il marito o il figlio in guerra, a chi non sa scrivere; sempre in movimento a portare, quando poteva, un filoncino di pane bianco e un goccio d’olio (“cenano con l’insalata scondita…”) ai vicini, pieni di figli e di miseria; sempre a cucinare patate, fagioli in umido o pasta con sugo “finto” ( il sugo “vero” era di carne) per quelli della Camera del lavoro o del Partito, che arrivavano da Macerata a fare il comizio o la riunione ed erano sempre affamati…

Maria Teresa

Ricetta del sugo “finto”

Nel nostro orto-giardino c’erano alcuni alberi da frutto e molti ortaggi, insieme a piante aromatiche e fiori; una palma altissima, diversi oleandri e hibiscus, un grande fico piantato da mia nonna negli anni ’20 del Novecento (non l’ho conosciuta, morirà nel 1934), e, soprattutto, tra casa e orto, una grande terrazza con due pergolati di uva fragola, che mio nonno in parte aveva innestato con Sangiovese o Montepulciano, non ricordo bene. Ne ricavava, da queste uve miste, una piccola botte di leggero vinello piuttosto aromatico, che serviva nelle sere fredde d’inverno, con l’aggiunta di zucchero, chiodi di garofano e un po’ di cannella, a fare il vin brulé.
È la fragola a restituirmi ancora l’odore e il sapore dolce dell’infanzia, quei chicchi opachi di colore violaceo, che spizzicavo tra ronzii di vespe e altri insetti, senza neppure aspettare che maturassero pienamente. Nel periodo più caldo dell’estate la luce verde, fresca e ombrosa delle viti fittamente intrecciate veniva incontro a chi saliva la scala che portava al piano superiore, dove orto e giardino erano collocati, perché la casa era costruita su terreno in declivio.
Nell’orto si coltivavano fave e piselli dolcissimi, insalate, zucchine, pomodori, aglio e cipolle, ma c’erano anche erbe odorose e grossi cespugli di rosmarino, salvia, timo, menta, basilico, nepitella, borragine che spiccava con i suoi fiori azzurro-viola.

La preparazione del cibo in tempi magri era un grande terreno di azione e fantasia per mia madre e per tutte le madri. È bello rievocare il “sugo finto”, che era un sugo di pomodoro e olio d’oliva, profumato con cipolla o aglio, basilico, maggiorana, peperoncino e sostituiva, secondo mia madre indegnamente, il sugo di carne.
Il segreto del sugo finto era la freschezza dei pomodori dell’orto, l’olio di oliva locale, le verdure, ossia cipolla, sedano, carota, aglio; ed infine gli “odori”, basilico e altre erbe profumate. A questo sugo, che non doveva bollire molto, si adattava benissimo il pecorino ben stagionato dei monti Sibillini (il parmigiano arriverà alla nostra tavola dopo la guerra, negli anni ’50).
Talvolta, soprattutto nel periodo del maiale, il sugo “finto” veniva arricchito con un pezzetto di pancetta tritata, o di guanciale, o di lardo. E cessava così di essere “finto”.

 

Ricetta del sugo “vero”

Ma la domenica non si badava a spese; venivo mandata il sabato in macelleria con cento lire e tornavo a casa con un cartoccio di ossi di manzo, cartilagini e poca carne a pezzi; più raramente, veniva ucciso un pollo e mamma stava ore a pulire le interiora e persino le budella, che, ben lavate e finemente tagliuzzate, finivano nella padella del ragù insieme a testa, ali e zampe. Se si aggiungeva a questi ingredienti un poco di carne bovina macinata e una salsiccia, ecco il ragù marchigiano dei giorni delle grandi ricorrenze, destinato alle tagliatelle tirate col matterello e anche alle lasagne marchigiane, che vengono ancora chiamate “vincisgrassi” o “princisgrassi”.
La principale differenza di questo ragù rispetto a quello bolognese consisteva in alcuni ingredienti come il lardo tagliuzzato, le rigaglie di pollo insieme a macinato bovino e in alcune spezie come chiodi di garofano, che si infilavano nella cipolla. Era dunque un ragù con molte carni, dal pollo al maiale al manzo.
Certo, gli animali, pur con parsimonia, venivano uccisi e mangiati, era una dura necessità. Ma era affettuoso il rapporto di mia madre con le galline, sembrava in qualche modo paritario: come fossero persone, le chiamava per nome, le rispettava, ci parlava, le accudiva con cura e le insultava solo quando mangiavano il prezioso uovo appena deposto; e soffriva nell’ucciderle.
Il maiale aveva il suo “stalletto” nell’angolo dell’orto più lontano dalla casa, tra un grande fico e dei sambuchi. In gennaio veniva ucciso, di mattina presto, ed io mi svegliavo alle sue urla acute e disperate. Provavo pena per lui, ma mi distraevo subito con tutto il tramestio che seguiva, il sangue che veniva bollito, spezzato in cubetti e in gran parte, secondo l’uso, distribuito ai vicini insieme ad alcune frattaglie, per essere poi fritto con olio e cipolla costituendo una gustosa e pesantissima cena.

Brodetto di pesce marchigiano fatto da mia madre

Mia madre comprava il pesce fresco alle sette del mattino, da quelle che chiamavamo “portammare”, ossia le pescivendole (portano dal mare). Arrivavano, fino ai primi anni ’50, con le cassette del pesce in testa, a piedi, da Porto Recanati. Le loro voci mi svegliavano, le ho ancora nell’orecchio, acute e un po’ strascicate: “Pesce vivooooo, lattarina (pesci piccolissimi e argentati) el risu de maruuuu…(ossia il riso del mare, oppure il sorriso del mare… chissà…), e poi “concole, panocchie, alici, roscioli (piccole triglie) zanchette, gattine, mugelle e bocca in caoooo (forse gallinelle di mare), seppie, sgombri, sfoglie (sogliole) scorfani”.
Vivo, vivo!! Teresa, Nunziata, Caterina, Maria, Adelina, Lisa, è rivato el pesce vivo e a poco! Il richiamo finale risultava musicale, modulato, inconfondibile: “Aho ahohhhhh!!”
Erano pesci per lo più a basso prezzo, freschissimi. Dopo la rituale discussione sul prezzo, sul peso, ecco una manciata di alici o un pugno di granchi in omaggio. Mia madre ne sceglieva alcuni, spesso merluzzi, per ricavarne un brodo leggero e profumato per me, che ero delicata di stomaco e inappetente; di altri si serviva per preparare una zuppa per gli uomini, piuttosto forte e saporita, il famoso “brodetto” marchigiano, che ha tante versioni: dolce e delicato a Fano, sempre più piccante e forte man mano che si scende verso Abruzzo e Puglia.

Maria Teresa

Ricetta

Con diverse varianti in base alle specie e alla quantità e varietà di pesci a disposizione. La riuscita dipende da questo: il brodetto nasce infatti sulle barche dei pescatori e si cucina con quello che si pesca.

Far soffriggere in un grande tegame possibilmente di terracotta una grossa cipolla affettata finemente in abbondante olio EVO, aggiungere una o due seppie pulite e tagliate a pezzi, far bollire a fuoco vivo, quindi sistemare sopra le seppie gli altri pesci facendo attenzione a non romperli, mettere per ultimi quelli più teneri, poi sale e pepe insieme ad un pizzico di zafferano; mentre il pesce si rosola sfumare con un bicchiere di buon vino bianco secco, aggiungere uguale quantità di acqua calda e portare a cottura. Servire con pane tostato, con sopra pesci e abbondante sugo, che sarà di colore marrone nella versione zafferano o rosso scuro nella versione pomodoro.