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IL PRANZO DELLA VITTORIA. Cotolette con la trifola

nonno in divisa del regio esercito circa 19150001

IL PRANZO DELLA VITTORIA
«Tina, stetra smana l’è al dè d’la Vittoria!». Traduzione: «Tina (mia nonna materna Clementina), la settimana prossima è il giorno della Vittoria!».
Il ricordare, da parte di mio nonno, l’approssimarsi di questo giorno aveva il preciso intento di sollecitare la nonna a prepararsi per un evento importante e soprattutto ad approvvigionarsi degli ingredienti necessari per la preparazione di un piatto che era cucinato solo in quest’occasione, per sottolinearne la solennità.
Infatti, nella famiglia di mio nonno materno, se a Natale erano i cappelletti, a Capodanno lo zampone, a Carnevale i “rosoni”….il giorno della Vittoria erano “le cotolette con la trifola” che marcavano l’importanza della giornata.
Gli adulti della famiglia, tutti invitati a partecipare al “pranzo della Vittoria” consideravano le “cotolette con la trifola” un attentato ai loro stomaci, con previsione di largo uso di bicarbonato per limitarne i danni, ma nessuno si asteneva dal mangiarle, per non fare torto al nonno, dicevano, ma perché, pensavo io, erano buonissime.
La preparazione di questo piatto per me era straordinaria, non solo perché avveniva una sola volta l’anno. Innanzi tutto la doppia cottura: le cotolette, infatti, dopo essere state impanate con l’uovo e fritte, erano ripassate in un intingolo di burro e pomodoro. Un vero e proprio attentato alla salute, ma, all’epoca, il concetto di sana alimentazione era quasi sconosciuto.
L’ingrediente, tuttavia, che rendeva questa pietanza speciale era la trifola, nome per me esotico, che mi faceva pensare a una sostanza “magica” che nulla aveva a che fare con ortaggi e legumi, anche se l’aspetto era di una piccola patata bianca. Nessuna patata, però, sprigionava un profumo così speciale quando la nonna, dopo aver estratto la trifola da un barattolo pieno di riso in cui era stata conservata fino al momento dell’uso, la tagliava, maneggiandola come un oggetto prezioso, in fettine sottilissime che si adagiavano sulle cotolette. Il primo a esser servito era il nonno e mentre gustava soddisfatto la pietanza, io ero grata alla “misteriosa Signora Vittoria” (nessun familiare né conoscente portava questo nome) grazie alla quale, nella mia ignoranza di bambina, si poteva assaporare una tale prelibatezza.
Presto ho scoperto che la trifola non era che tartufo e che il “giorno della Vittoria” non era in onore di una misteriosa signora bensì, nel gergo familiare, il 4 di Novembre, fino al 1976 festività a tutti gli effetti, anniversario della proclamazione nel 1918 della vittoria dell’Italia sull’esercito austro-ungarico e la conseguente fine della I guerra mondiale. Mio nonno che a quella guerra aveva partecipato, probabilmente, festeggiando la ricorrenza con un cibo ricercato, voleva in modo simbolico riscattare i patimenti della guerra e la Vittoria non era una “signora importante”, ma un evento che, per realizzarsi, aveva richiesto enormi sofferenze e sacrifici di vite umane.

Mariacristina

nonno in divisa del regio esercito circa 19150001

Il nonno in divisa del regio esercito, circa 1915

ricetta per 4 persone
4 fettine di carne di vitello (fesa ) sottili di circa 80 gr l’una;
2 uova;
pane grattugiato q.b.;
olio per friggere;
burro 100 gr;
passata di pomodoro 4 cucchiai
tartufo bianco q.b.
scaglie di formaggio parmigiano reggiano (da mettere sulle cotolette prima del tartufo)
sale e pepe q.b.