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Sapore senza prezzo

pasta e zucca

E’ strano come un piatto, in fondo povero, possa in realtà essere ricco. Forse la vera ricchezza, quella che dura all’usura del tempo è proprio quella che ha un fondo di povertà. Riflettevo su questo oggi che mi trovo privato della libertà per un reato legato al desiderio di arricchimento. Non ricordo quali fossero i miei desideri da bambino, so negli ultimi anni per me ricchezza equivaleva a denaro, quello che si può contare, tenere in mano, quella ricchezza materiale che può far diventare realtà i sogni e avere ciò che hanno gli altri o anche di più. Poter essere finalmente rispettato, ammirato, cercato … col denaro si può avere tutto. Tutto ? Da qualche tempo non ne sono più così sicuro. Quanto denaro occorre nonna per poter avere qui, di nuovo la tua pasta di zucca ? Col denaro posso comprare aglio, zucca, pasta, formaggio e prepararla qui quando voglio, ma non è la tua, quella che mi preparavi almeno due volte alla settimana. Ricordo, avevo 6 anni e stavo a casa tua, mamma e papà lavoravano lontano. Quanto denaro potrei raccogliere, in qualsiasi modo, per ‘comperare’ quel profumo, quel colore, quel sapore ? Quanto denaro per risentire la tua voce, nonna, che mi dice : ‘ Giuseppe, vieni è pronta !’

Sono diventato grande, posso avere quello che voglio, sono intelligente, furbo, ‘ come si fa!’, conosco le persone giuste. Giuste ? Giuste per cosa ? Giuste anche per aiutarmi a comprare il tempo perduto, quello che non può più tornare ? … e ridarmi il suono della mia voce di bambino che ti rispondeva : ‘Sì, nonna vengo subito. L’hai fatta sempre come piace a me ?’

“Sì, Giuseppe, amore mio, è per te; è la tua pasta e zucca”

Ho trovato il modo di avere tutto ma, c’è al mondo la moneta che possa ridarmi il tuo amore ?

Solo ciò che non si compera rimane per sempre. Nonna perché nella vita ci si deve perdere per ritrovare ciò che si è sempre avuto ? … quelle cose vere che il tempo non può intaccare, non i surrogati che il denaro può fintamente dare. Cose che non hanno prezzo.

Sono dovuto arrivare fin qui per capirlo, grazie ad un sapore, il sapore della pasta con la zucca.

Giuseppe

 

Pasta di Zucca

Ricetta per due persone

400 gr. di zucca; 160 gr. di pasta mista ; 2 cucchiai di olio extravergine di oliva; 1 spicchio d’aglio; peperoncino, prezzemolo

In una pentola mettere 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, 1 spicchio d’aglio e mezzo peperoncino. Far soffriggere e quando l’aglio avrà preso colore versare nella pentola la zucca precedentemente tagliata a dadini. Far insaporire nell’olio a fiamma vivace, dopo un paio di minuti togliere l’aglio, aggiungere un pizzico di sale e mettere il coperchio sulla pentola, abbassate la fiamma e aggiungere un bicchiere di acqua calda. Far cuocere fino a quando la zucca non sarà quasi disfatta.
A questo punto aggiungere 3 mestoli d’acqua e portare ad ebollizione, versate la pasta nella pentola e fatela cuocere a fuoco basso mettendo il coperchio, correggete di sale se serve. Negli ultimi minuti di cottura aggiungete il prezzemolo, ora è pronta la vostra pasta e zucca.

Le “freselline” della nonna

Sono nata e cresciuta in un paese del nord-est, nebbioso e umido come solo la Pianura Padana sa[peva] essere. Vivevo in un paese che ad oggi conta poco più di seimila abitanti, comprese le frazioni. Immaginatelo alla fine degli anni settanta: il comune, la chiesa, la scuola, una manciata di villette, tante cascine, tanti campi coltivati e dove abitavo io. Un palazzone verde da nove piani.
L’inverno passava fra scuola, danza, i giochi con le amichette nel palazzo. Il bello di abitare in un posto grande come il palazzone a nove piani consisteva proprio nel fatto di ritrovare qualche compagna di classe a solo qualche piano di distanza. Così anche nei giorni piovosi, o di nebbia densa come la schiuma del cappuccino, o di neve da affondarci dentro fino al collo, si poteva stare insieme tutto il pomeriggio a giocare, dopo i compiti.
Con l’estate però cambiava tutto. Estate per me era sinonimo di nonna e di sud. Il sud per me era colore, odore, rumore. Era dormire nel lettone con la nonna, era camminare scalza per il quartiere dove tutti mi conoscevano, era uscire da sola per andare a comprare il gelato o le caramelle. Era giocare in giardino con le galline, il cane, le papere. Era curare l’orto con la nonna. Era guardare la nonna cucinare. Se c’era qualcosa da impastare, tirava fuori il tavolaccio di legno che teneva sempre a portata di mano. Un tagliere in legno tondo, in formato gigante, che non si doveva mai assolutamente lavare, ma solo ripulire dall’impasto rimasto appiccicato con una spatolina, o al massimo con un coltello.
Di quelle estati in particolare mi è rimasto il ricordo di alcuni biscotti che la nonna preparava per la colazione. Il nome in dialetto suona più o meno come “freselline”: biscotti a doppia cottura, che la nonna cuoceva nel forno a legna. Questa è la ricetta perduta, che ho cercato per anni, e che preparo ogni volta che voglio ricordare il sapore delle mie estati da bambina. E non vedo l’ora che anche il mio bambino possa assaggiarli.

Marcella

Ricetta
Ingredienti: 8 uova, 500 gr. di zucchero, 20 gr. di ammoniaca per dolci, 400 gr. di burro, 1 chilo e 200 gr. di farina, vanillina, un pizzico di sale, un cucchiaio di cacao amaro.
Sciogliete l’ammoniaca per dolci in un dito di latte e disponete la farina a fontana, quindi aggiungete le uova, versate a poco a poco il latte con l’ammoniaca, il burro lasciato ad ammorbidire, lo zucchero e la vanillina. Impastate con le mani per ottenere un impasto liscio. Dividete l’impasto in 6 pezzi da 200 gr l’uno, quindi uno alla volta stendeteli con le mani fino ad ottenere dei filoncini. Comprimete con entrambe le mani e allungate i filoncini fino a 30 cm circa. Adagiate i filoncini così ottenuti in una teglia ricoperta da carta da forno, ben distanziati (tendono a raddoppiare di volume). Portate il forno a 200° e cuocete per 20 minuti. Trascorso questo tempo estraete i filoncini, fateli raffreddare qualche minuto e procedete a tagliarli in diagonale per ricavare dei biscotti di circa 1-1,5 cm. Disponete i biscotti ottenuti di nuovo sulla placca e fate “biscottare” in forno a 170° per circa 10-15 minuti. A piacere metà impasto potete farlo al cioccolato, aggiungendo il cacao.

Crostata al limone con meringa al limone

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Per me, che sono nipote e figlia di due “rezdore” di prim’ordine (nonna Anna e mamma Paola), non è stato facile vincere la paura del confronto con questi due “mostri sacri del matterello” e decidere di cimentarmi ai fornelli. Cosa mi ha convinta? il desiderio di sorprendere la mia mamma con un regalo speciale per il suo compleanno, la sua torta preferita, ossia la crostata con crema al limone, fatta da me con l’aggiunta della meringa al limone. Non ho ottenuto stelle Michelin ma la sua gioia e il suo apprezzamento sono stati indiscutibilmente il premio più gradito!

Jessica

Ricetta
Ingredienti: CREMA: 3 BUCCE DI LIMONE GRATTUGGIATE, 4 TUORLI, 2 CUCCHIAI DI MAIZENA,100 GR ZUCCHERO,1 BICCHIERE D’ACQUA. FROLLA: 200 GR FARINA,70 GR BURRO,1 UOVO INTERO,100 GR ZUCCHERO, ½ BUSTINA DI LIEVITO. MERINGA: 2 ALBUMI, 4 CUCCHIAI DI ZUCCHERO, SUCCO DI UN LIMONE.

Unire con le fruste elettriche lo zucchero e i tuorli poi aggiungere le bucce grattugiate la maizena e infine il bicchiere d’acqua. Cuocere a fuoco lento fino a ottenere una crema densa non grumosa, lasciarla raffreddare. Unire farina zucchero lievito e burro, aggiungere l’uovo e ottenere un composto omogeneo.
Imburrare e infarinare una teglia stenderci sopra la pasta lasciando un bordo di due cm
Versare la crema sulla pasta e cuocere in forno preriscaldato a 180°C x circa 20 minuti.
Nel frattempo montare a neve ferma gli albumi, aggiungere lo zucchero e infine il succo di limone, continuare a battere con le fruste fino a ottenere una crema densa.
Stendere la meringa sulla torta e cuocere x altri 5 minuti sino a quando la meringa è dorata.

Pasta cu’ l’agghia o Pesto alla Trapanese

Mugliera, domani vengono i ragazzi a cena, ok?
(Attimo di panico..) ohhh certo!
Cosa preparo?? E da li iniziano le infinite ricerche, armata di Ipad, riviste e giornali sfoglio pagine vere e virtuali per trovare una ricetta che faccia al caso nostro: buona, facile e che soddisfi i palati modenesi.
Già come può una giovane donna sicula competere con le redzore modenesi?!
Poi l’idea, perchè non osare e non proporre il piatto di casa (in Sicilia) più semplice, quello che anche papà sa fare?? La Pasta Cu L’Agghia.
Detto cosi so già che avete storto il naso, ma trattasi del famoso Pesto alla Trapanese, servito nell’immancabile ‘Maidda’, tipico vassoio di legno con i bordi rialzati.
Ogni volta che preparo questa ricetta, l’odore del basilico che si mescola e si confonde nel pomodoro mi riporta alle mie origini, alla mia amata terra arsa dal sole infuocato .
Fantastico il messaggio del giorno dopo: Vita, la tua pasta cu l’agghia è un vero must!

Vita

Ricetta
Ingredienti: Aglio 5/6 spicchi, 1 mazzo di basilico, 1 barattolo di pomodoro pelato, Sale q.b., Olio Evo q.b, Pasta tipo Busiate o Margherite
In un mortaio pestare l’aglio con il basilico e il sale fino a ridurre tutto a cremina. Versarlo in un ciotola in cui avrete messo il pomodoro pelato. Aggiustare di sale e aggiungere dell’olio Evo. Cuocere le busiate e condirle con il sugo preparato.
Ps: vi svelo un segreto, con lo stesso sugo potete condirci delle ottime bruschette (rigorosamente usando il pane con il sesamo).

Bensone alla marmellata di cocomera

Questa ricetta è molto antica ma mi riservo di sapere con esattezza l’origine della tradizione che pur essendo della bassa modenese, è conosciuta molto poco.
La particolarità consiste nella marmellata, la cui cocomera matura nel mese di novembre/dicembre. La forma e il colore sono simili a quelle che si consumano d’estate ma l’interno è di colore bianco, giallino con i semi neri e bianchi. Fare la marmellata è un processo molto lungo perché la polpa va tagliata in tanti pezzi piccoli come un dado da cucina. Si tolgono tutti i semi e si lascia macerare una notte intera con il limone e lo zucchero. Il giorno successivo si mette a bollire in un paiolo e si mescola di tanto in tanto. Il colore bianco durante la cottura diventa rosso e infine la colorazione diventa scura, tutto questo dopo 12 ore! Si procede poi a riporla nei vasetti in modo naturale o con un po’ di anice nella parte superiore prima di chiudere ermeticamente il vaso. Anche l’impasto del bensone assomiglia a quelli che comunemente i nostri nonni hanno tramandato ai nostri genitori ma sono rimasta sorpresa dal trattamento finale di questo dolce: prima di infornarlo forare la superficie del bensone e spennellare con latte freddo e cospargere un po’ di zucchero. Nella tradizione della mia famiglia si procedeva a spennellare con il rosso d’uovo. La differenza consiste nel fatto che nel primo caso l’impasto rimane morbido, nell’altro, diventa più secco. Inoltre, per fare un buon bensone, è necessario usare il burro di alta qualità , non dietetico! Ancora oggi, quando riesco a reperire le uova che vengono dal pollaio, noto la differenza dell’impasto rispetto quando utilizzo quelle industriali. Grazie della possibilità di diffondere queste preziose ricette affinché  rimangano nelle tradizioni delle cose buone non solo da ricordare… ma anche di mangiarle ancora e degustarle con altre persone.

Marisa (Associazione Culturale “L’Incontro”)

Ricetta
Ingredienti: Kg. 1 farina, gr. 500 zucchero, gr. 5oo burro, n. 1 limone grattugiato, n. 4 uova, n.2 bustine lievito bertolini (da 16 gr.), n. 1 vasetto marmellata di cocomera.

Il burro va sciolto a bagnomaria e si lascia raffreddare. Si  prepara la farina con lo zucchero e al centro mettere le uova, cominciare a mescolare e aggiungere anche gli altri ingredienti. Se l’impasto risultasse un po’ duro aggiungere un po’ di latte. Preparare sul tagliere la carta forno a forma rettangolare e porgere sopra una parte dell’impasto. Stenderla bene con il matterello in modo da coprire tutta la carta sottostante e lo spessore deve essere di circa mezzo cm. Mettere la marmellata sulla metà dell’impasto e si solleva con la carta l’altra metà per chiuderlo bene. Attenzione: non deve fuoriuscire la marmellata. Poi forare con una forchetta il bensone, spennellarlo con del latte e aggiungere sopra un po’ di zucchero. Infornare a 180° per  circa mezz’oretta.

Le rose della zia Bianca

ROSE

E poi finalmente era la Vigilia di Natale. La casa addobbata a Festa si riempiva di parenti. Noi eravamo già in sette, io e i miei fratelli con i miei genitori e i nonni materni, più gli zii e i cugini di Modena e di Bologna arrivavamo al ragguardevole numero di 18 persone in un appartamento di 85 metri quadrati. La tradizione voleva che ogni famiglia contribuisse al menù portando una propria specialità e naturalmente un regalo per tutti.
Ma la cosa più sorprendente era il carico con cui arrivavano da Bologna lo zio Andrea e la zia Bianca e i miei cugini Nicola e Simona. Ricordo una FIAT 500 carica all’inverosimile, con portapacchi, su cui capeggiava un grande contenitore con le “rose della zia Bianca”. Potete facilmente immaginare come tra lo spazio occupato dai 4 passeggeri con i bagagli necessari per fermarsi una notte a Modena (non si poteva mica tornare indietro nel cuore della notte) e dai 18 regali, fosse stato necessario montare il portapacchi (come quando si partiva per le lunghe vacanze estive) per trovare uno spazio adeguato ed evitare lo schiacciamento delle “rose” che proprio per la loro fattezza erano molto fragili e delicate.
All’arrivo erano la prima cosa da scaricare e da controllare: ce l’avevano fatta anche quest’anno ad arrivare intatte? Ed erano l’ultima cosa che si mangiava per la cena della Vigilia di Natale dopo la mezzanotte, dopo l’apertura dei regali. Erano l’inizio e la fine dei festeggiamenti, che si concludevano spesso leccandosi le dita rimaste sporche dallo zucchero caramellato con cui le “rose” erano ricoperte.
In mezzo c’era tanta confusione, tante parole, tante risate, tanti giochi con le carte a sette e mezzo e tra cugini che spesso finivano con delle lacrime per un regalo conteso e con la minaccia: “smettetela altrimenti ce ne andiamo. Ci rivedremo solo quando sarete cresciuti… magari fidanzati o sposati!”.
Non so per quanti anni lo abbiamo fatto, sicuramente per quasi una ventina, sì perché lo abbiamo fatto anche dopo che ci eravamo trasferiti nella casa di Soliera agli inizi degli anni Ottanta, dove finalmente c’era uno spazio più adeguato.
Poi le esigenze sono cambiate, sono arrivati fidanzatini e fidanzatine, la famiglia cresceva e la tradizione ha dovuto modificarsi ma non è scomparsa grazie alla mia mamma Adriana che ha imparato a fare anche le “rose della zia Bianca”. Credo, con il senno del poi, che anche lei non abbia voluto rinunciare al significato profondo che quel dolce, le “rose della zia Bianca”, aveva assunto per la nostra famiglia: il piacere dello stare insieme nel condividere una festa come il Natale.

Caterina

Ricetta

Ingredienti: farina 5 etti, 5 uova intere, ½ Kg zucchero, 1 litro d’olio

Per fare la pastella: impastare farina e uova. Con la macchinetta tirare la pastella e realizzare delle strisce larghe almeno due cm. Stenderle su un canovaccio. Mettere 1 litro d’olio in una pentola alta. Friggere le strisce di pastella una alla volta arrotolandole per ottenere la forma delle rose aiutandosi con una forchetta. Far raffreddare le rose.

Per fare il miele: in una pentola abbastanza capiente mettere ½ litro d’acqua, un limone spremuto, ½ Kg zucchero e far bollire il tutto per 10 minuti. Prendere un bicchiere di acqua fredda mescolarlo al composto in ebollizione e attendere che ribolla: il miele è pronto quando al tatto resta appiccicoso e abbastanza denso. A questo punto immergere una alla volta le rose nella pentola del miele per poi riporle, man mano, in una grande terracotta andando a costruire una composizione piramidale. Alla fine dell’operazione se avanza del miele lo si può aggiungere versandolo direttamente sulle rose.

Le “rose della zia Bianca” sono un dolce, fatto con una lunga striscia di pasta friabile che mentre viene fritta si fa arrotolare su se stessa assumendo appunto la forma di una rosa. Completa il dolce un caramellato con cui si cospargono una volta raffreddate.

Carola!

La cucina è stata l’ambiente più vissuto e vivace della mia adolescenza, dove chiacchiere, confidenze e rimproveri non smettono mai di risuonare nella mia memoria. Qui mia madre passava la maggior parte del suo tempo: raccontava il passato con i suoi fantasmi di guerra, cuciva, ospitava le vicine e le amiche, conversava animatamente con noi e con mio padre. Era lui a stabilire il menù in base a quello che gradiva e la mamma si organizzava sempre per accontentarlo. Chi faceva la spesa era lui, ma se si rifiutava di comprare qualcosa, allora intervenivo io.
Se mi concentro e penso ad allora tutto era facile e semplice. Ai miei occhi di bambina sembrava tutto un gioco: aiutare mamma a cucinare, cucire o fare la spesa. Poi crescendo si è complicato tutto. La mamma certo aveva il suo gran da fare, ma non si è mai scoraggiata: era sempre contenta anche nelle turbolenze familiari. La cucina e cucinare erano parte di lei. Quasi tutto le riusciva bene e questo rendeva felice mio padre, che spesso si intrometteva con i suoi consigli autoritari e sgraditi, spesso fonte di battibecchi. D’altro canto lui era molto di aiuto in casa e cercava, a suo modo, di essere sempre all’altezza delle aspettative familiari.
I tempi non consentivano, economicamente parlando, grandi possibilità, ma in cucina non mancava nulla. La mamma faceva la pasta in casa, più volte la settimana, condita con il ragù. Ben poca se ne mangiava di confezionata! Cucinava sempre lo gnocco e la pizza e la domenica non mancavano mai i dolci e le paste. Per la gioia di tutti i golosi della famiglia mamma aveva alcune specialità che ha sempre ripetuto negli anni: era bravissima a fare i tortelli ripieni fritti, le frittelle di mele, le pesche con la cioccolata e il budino. Ma era la pizza il piatto preferito da tanti parenti e il motivo di molte riunioni conviviali durante le feste.
Visto che la mia è stata una famiglia di golosoni vorrei descrivere un dolce: lo Stracchino della Duchessa ( Cassata gelato).

Maria

Ricetta
Ingredienti: 2 hg. di burro, 2 hg . di zucchero a velo, 1 hg. di cioccolato fondente (tavoletta), Crema al limone di 4 uova solo tuorlo o tre uova se si usa l’albume, Canditi quantità a piacimento, 15 savoiardi di buona qualità.
Si prepara la crema al limone e si lascia raffreddare molto bene, nel frattempo si pone il pannetto di burro all’esterno del frigorifero in modo che si possa mescolarlo con lo zucchero a velo fino a formare una crema morbida. Quando la crema all’uovo è fredda, si toglie l’eventuale pellicina che si è formata in superficie, e si aggiunge alla crema di burro un cucchiaio alla volta per amalgamare bene, per ultimo si aggiungano i canditi e la cioccolata tagliata a pezzi. Si prepari una ciotola con i savoiardi imbevuti di liquore dove versare la crema, si copra per mettere in freezer.
Personalmente ai savoiardi preferisco il Pan di Spagna; il liquore è a piacimento, io ho usato del Cointreau, del Maraschino e un poco di Sassolino.
E’ un dolce molto ricco e calorico, il burro può essere sostituito con la ricotta.

La magia gialla

polenta_Primo

Ricordi. Ricordi di un bambino, ricordi di una nonna amorevole dolce e protettiva, ricordi di poco cibo ma tanta allegria. Ricordi di un camino grande, appoggiato ad un muro di una grande stanza ed un fuoco acceso, un paiolo nero e bruciacchiato appeso al centro, fin quasi ad appoggiarsi al fuoco. Fuoco scoppiettante si schiocchi che salivano e scaldavano l’acqua. Al centro della stanza una grande tavola di legno con qualche tarlo. Sul tavolo un sacchetto impolverato che conteneva farina color giallo: la polenta.
Ed ecco il rito quasi magico ai miei occhi, compiuto con gesti di grande sapienza ed oculatezza dalla nonna nel versare e rimescolare, con il grande mestolo di legno, quello che ai miei occhi sembrava solo acqua colorata di giallo.

Poi il mio stupore nel vedere quell’acqua colorata, che si addensava come la plastilina che usavo per i miei giochi.
Quando i tempi dettati dal calore, sotto il vigile controllo della nonna, erano compiuti, veniva il rito del lento, lento rovesciamento del paiolo in una grande pentola che sarebbe stata appoggiata sul tavolo: che profumo ! era pronto !

Così ogni giorno c’era un’alternanza di variazioni: polenta con i fagioli, polenta con i funghi, polenta ‘da sola’ . Il mio ricordo più goloso rimane quello della polenta con lo zucchero, che bontà ! .
Soltanto crescendo, molti anni dopo capii che era il cibo dei poveri. Cibo per poveri di ‘danari’, ma ricchi di gioia, di amore per il prossimo, di fratellanza e mutua assistenza.
Questa è ancora oggi per me, la vera magia di un piatto di polenta.

Primo

 

Ricetta per la Polenta

2 litri di acqua, 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva, 1 cucchiaio di sale grosso, 1/2 kg di farina di mais

Si comincia mettendo l’acqua in una pentola fino a portarla in ebollizione. Aggiungere il sale grosso, l’olio, la farina gialla di mais un pò alla volta, lentamente evitando che si formino i grumetti, e iniziate subito a mescolare con un mestolo di legno. Occorre mescolare sempre nello stesso verso, facendo girare lo strato profonso con quello più in alto mantenendo un composto omogeneo. Se la polenta diventa dura e compatta aggiungere un mestolo di acqua calda, tornerà morbida. Girate, girate, girate la polenta senza cedimenti finchè inizia a staccarsi dai bordi della pentola. Continuate la cottura altri venti minuti: la polenta più si cuoce più viene buona.

Quando sarà pronta versatela su un tagliere di legno e portate in tavola. Si può mangiare accompagnata con ciò che preferite. La polenta e’ buona anche nella versione più semplice, tagliata a fette con burro e formaggio che si scioglieranno per il calore…

La vita come un lungo filo rosso, tra giostre e Cotolette al purè

cotoletta e purè_Claudio

C’è un piatto ricorrente nella mia infanzia e poi anche sucessivamente nell’adolescenza che contraddistingue e segna come un filo rosso praticamente quasi tutta la mia esistenza, sono le cotolette con il purè. E’ un piatto che evoca in me tanti ricordi legati alla mia famiglia e al luogo dove sono cresciuto. Sono Sito e per i primi decenni della mia vita ho seguito i miei genitori che spostandosi con la carovana andavano in vari paesi, soprattutto nel veneto ed in Emilia Romagna, per sagre e fiere installando le nostre giostre.

Ripensandoci oggi, vivevo in un eterno luna park, non solo per le giostre che mi circondavano e che avevo a disposizione ma anche per l’intesa, l’unione e l’amore che c’era tra me e i miei fratelli più grandi, mia sorella più piccola e i mie genitori. Alle età di dieci anni ci siamo stabiliti in provincia di Reggio Emilia in una casa bella e grande con un terreno intorno ma ogni tanto ci spostavamo con la carovana, non solo per le ferie. Ricordo in particolare un giorno, quando facevo la prima media, uscito da scuola invece di tornare a casa mi fermai all’oratorio a giocare, per diverse ore e quando finalmente tornai a casa nel pomeriggio, mia madre invece di rimproverarmi mi accolse con il sorriso facendomi trovare il mio piatto preferito tenuto in caldo nel forno: dieci cotolette ! !  … ed io affamato le divorai passandole nel purè caldo. Forse la mia mente di bambino non era in grado di capire pienamente la grande lezione d’amore che mia madre mi dava, ma il mio cuore sì, e penso che sia proprio per la tenerezza e la gioia che ho visto nei suoi occhi che quel giorno è rimasto impresso indelebilmente in me.

Claudio (di origine Sinti)

 

Ricetta per cucinare le cotolette con purè

Prendere delle fettine sottili di carne di manzo o maiale, o vitello. Per l’impanatura occorrono uova, formaggio grattugiato, pangrattato, prezzemolo tritato, olio d’oliva, pepe e sale. Passare le fettine di carne nell’uovo sbattuto poi passarle nel pangrattato, che contiene anche il prezzemolo e il formaggio tritati; ripetere l’operazione due volte. Friggete le fettine impanate in olio bollente e far riassorbire l’olio in eccesso su carta assorbente.

Per il purè io utilizzo quello in busta. Servire con una fetta di limone.

I Caplét tra bontà e scherzo

Una tradizione di molte case romagnole era quella del “cappelletto del lovo.” Mia nonna che era romagnola mentre riempiva i cappelletti in uno metteva un fagiolo o un pezzo di tappo in mezzo al ripieno. Quindi a chi capitava il cosiddetto cappelletto “lovo” aveva due soluzioni: o ingoiare il cappelletto col fagiolo come se niente fosse, oppure dichiarare di avere trovato il fagiolo dentro il cappelletto e fare un’adeguata penitenza decisa dagli altri commensali. Mi ricordo che mi capitò più di una volta di trovare il fagiolo… La prima volta confessai di averlo trovato e feci una penitenza per nulla piacevole; dovetti sparecchiare e lavare i piatti. La seconda volta che mi capitò di trovare il fagiolo ingoiai il cappelletto con il fagiolo facendo finta di niente. Se nessuno dichiarava di averlo trovato, la nonna guardava i commensali negli occhi e chiedeva ad ognuno chi aveva mangiato il cappelletto del ”lovo,” naturalmente tutti negavano e finiva il tutto con una grande risata.

Paola

Ricetta

Ingredienti: per 8 persone: per la pasta: 400 gr di farina, 4 uova; per il ripieno 200 gr di ricotta,100 gr di formaggio tenero (ad esempio la casatella o bazzotto), 100 gr di parmigiano, 50 gr di pecorino stagionato, 1 uovo, una grattata di noce moscata sale q.b.; per servirli brodo di carne e parmigiano.
Impastate la farina con le uova fino ad avere un composto liscio ed omogeneo, lasciate riposare la pasta coperta per qualche minuto. Preparate il ripieno, stemperate la ricotta con il formaggio tenero, unite il parmigiano, le uova, il sale e la noce moscata, amalgamate bene il tutto. Tirate la sfoglia di uno spessore medio, ricavate dei quadrati di circa 5 cm di lato, riempiteli con un po’ di ripieno, richiudetelo a triangolo chiudendo bene i bordi quindi fate girare i triangoli intorno al dito medio e sovrapponete le due estremità. Cuoceteli nel brodo di carne e serviteli in brodo con una spolverizzata di parmigiano.