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Favola di una tavola felice

20150805_202009

Punto di vista, Tradizione e Gusto si sedettero a tavola, come da anni nelle stesse posizioni.
” E’ da anni che ci sediamo sempre negli stessi posti” disse riflessivo Punto di vista.
” Amico mio, tu rimugini troppo! A questa tavola si è sempre stati bene così e sarà sempre così”, bofonchio’ Tradizione.
Punto di vista si alzò di scatto e propose : ” Perchè non ci scambiamo di posto? ”
” Amico oggi sei insopportabile!” tuono’ Tradizione.
” Sì, mangiamo e basta ! ” ordinò Gusto.
La situazione iniziava a surriscaldarsi quando entrò nella stanza Lungimiranza.
Era un evento vedere Lungimiranza, di solito rimaneva nelle sue stanze da quando suo marito Cambiamento era andato lontano in cerca di qualcosa che nessuno in città sapeva.
” Amici cari, ho ascoltato il vostro discorso, provate a scambiarvi i posti e poi raccontatemi cosa vedete. In cambio vi farò assaggiare il pranzo che ha fatto per me Natura”.
Tutti erano curiosi di mangiare il famoso cibo di Natura, la cuoca di Lungimiranza, e le diedero retta.
Tutti e tre si meravigliarono delle cose nuove che vedevano e che in tutti questi anni erano rimaste nascoste ai loro occhi: colori, riflessi del sole, parti nuove della stanza.
Soddisfatta, Lungimiranza diede a loro il suo pranzo.
” Che gusto nuovo, mia cara amica! cosa c’è dentro?” esclamò Gusto
” Io non ne sono convinto” borbottò Tradizione
” Questo cibo amici miei è vita che nutre la vita. Punto di vista ha ragione, a volte bisogna cambiare la propria prospettiva e acquisire uno sguardo nuovo. Nessun animale è presente in ciò che state mangiando, tutto è fatto secondo e da Natura”.
Questa è una tavola felice.
Tradizione balbetto che non era d’accordo, alzò i tacchi e se ne andò, mentre Gusto rimase incuriosito dai nuovi sapori.
” E’ necessario del tempo affinché Tradizione apra la sua mente ma quando sarà venuto il momento, Cambiamento tornerà a casa” disse dolcemente la vecchia Lungimiranza.

Rosa

Ricetta

Ingredienti: Crepes: 1 tazza di farina di ceci, 1 tazza di acqua, 1 cucchiaio di olio, un pizzico di curcuma, 1/2 cipolla (meglio se di tropea), un pizzico di pepe. Cremina di piselli: mezza busta di piselli congelati, sale e pepe, 6-7 cucchiai di latte di soia e semi di papavero.

Unire in una ciotola la farina di ceci e l’acqua, aggiungere l’olio e la cipolla tritata finemente. Mescolare e aggiungere la curcuma, che darà il colore giallo e a piacere il pepe. Per la cremina di piselli, frullare tutti gli ingredienti e se volete aggiungete dei semi di papavero.

Buona Crepes felice!

 

Al di qua come di là. Le braciole di tradizione napoletana

braciole napoletane

Ogni volta che mi è capitato di finire in carcere mi sono sempre dedicato alla cucina, come sto facendo ancora. Fuori di qua cucinare era per me un hobby, un passatempo che mi regalava tante soddisfazioni.

Fino a due anni fa,  almeno una volta a settimana, con le uova fresche preparavo la frittata di spaghetti, con salumi vari, formaggi, pepe nero.

A volte preparo il ‘casatiello’, ricetta napoletana classica e immancabilmente ogni domenica anche le ‘braciole’, che sarebbero poi degli involtini di carne di manzo. Quando preparo queste cose mi ricordo sempre quando ero piccolo e in particolare quando mia madre d’estate preparava questi cibi e li portava in campagna dove anche io aiutavo mio padre nei campi. Ci riunivamo tutti a tavola ed era festa, anche per poco tempo perchè il lavoro dei campi ci attendeva. Ricordi indelebili .

Giovanni

Braciole secondo la tradizione campana

Carne di manzo, aglio, prezzemolo, formaggio pecorino grattugiato, un filo d’olio extra vergine, sale e pepe.

Si stende la fetta di carne di manzo, ricoprendola degli aromi e del formaggio, si richiude e ferma con uno stuzzica dente, si cuoce nel sugo di pomodoro.

 

 

Lo zabajone della bisnonna

La bisnonna Caterina era una donna di una volta, con i capelli sempre raccolti in una crocchia, sempre con un vestito nero, sempre col grembiule da cucina indosso. Non era favorevole alle smancerie con noi nipoti: “niente baci che diventate brutti” – diceva. Poche carezze, pochi sorrisi. Però lei sapeva sempre cosa fare in ogni occasione: era lei che faceva da mangiare per tutti, era lei che curava gli ammalati con cibi e bevande preparati appositamente, era lei , persino, che toglieva i denti dondolanti dei bambini. In casa c’era sempre profumo di qualcosa, una pentola che bolliva, un fuoco acceso. Ma la vera festa era quando qualcuno era influenzato o semplicemente inappetente… perchè la bisnonna in quell’occasione preparava lo zabajone. Si faceva portare le uova fresche dalla sua amica che veniva appositamente da Nonantola, apriva il barattolo dello zucchero… ed era un evento perché lo zucchero costava e non si usava tanto spesso… si sentivano le forchette sbattere contro la ciotola  gialla e compariva anche la bottiglia di Marsala usata appositamente per i dolci di Natale. Poco dopo, con uno dei suoi rari sorrisi e che si riservava solo in queste occasioni, ci dava una ciotolina di zabaione, ancora tiepido. E miracolosamente le forze tornavano.

Rossana

Ricetta

Ingredienti: 4 tuorli freschi, 80 gr di zucchero, un bicchierino di Marsala

Montare i tuorli con lo zucchero finchè non si ottiene una crema quasi bianca e abbastanza ferma. Aggiungere lentamente il Marsala incorporandolo per bene. Cuocere a bagnomaria per una decina di minuti mescolando continuamente, almeno finchè non si ottiene una crema densa e senza grumi. Servire tiepido con qualche biscotto.

La tradizione della focaccia Tirot

Come iniziare a parlare di questa focaccia, detta Tirot in dialetto? Dalle origini dialettali del paese dove sono nata io… un paesino della Bassa Mantovana (Felonica Pò), l’ultimo della provincia mantovana, dove i piccoli propietari di terra coltivavano, allora, cipolle e aglio, grano, barbaietole ed erba medica. Ma principalmente cipolle e aglio, poi con l’emigrazione piano piano è andata scomparendo la grande coltivazione delle cipolle. Ma in tante famiglie, la tradizione di fare questa focaccia è rimasta ancora oggi. E il giorno di Ferragosto in paese tengono aperto il forno e per tutto il giorno vendono questa focaccia. Questa ricetta del Tirot è quella che le donne di casa della famiglia facebano una volta, come si suol dire “ad occhio” cioè senza pesare gli ingredienti! Poi con il tempo, ho ricevuto da mia sorella, che a sua volta l’aveva ricevuta proprio dal fornaio, la ricetta precisa.

Leondina

Ricetta

Ingredienti: 1 kg di cipolle bianche, 1 kg di farina, 50/60 gr. di lievito di birra, 40 gr. di sale, 300 gr. di strutto

Si tagliano sottili le cipolle. Si mettono in una pentola le cipolle affettate, con lo strutto e il sale. Si  scioglie il lievito con acqua tiepida, si aggiunge la farina, aggiungendo sempre acqua tiepida quanto basta perchè l’impasto sia morbido. Si lascia lievitare poi si mette in forno circa mezz’ora-quaranta minuti. Deve essere abbastanza sottile e nello stesso tempo croccante.

 

Il tempo perduto

Il gusto di un cibo è l’emozione di una serie di ricordi che ci riportano al punto dal quale siamo partiti. Ogni lontano sapore evoca la memoria di un tempo perduto, e attraverso quel profumo il presente si fa passato riportandoci le immagini dell’infanzia, i volti delle persone care, l’odore di una vita cadenzata dal ciclo delle stagioni, e i suoni di una quotidinaità fatta di cose semplici. Gli aromi del tempo perduto ci restituiscono il vissuto delle donne che ci hanno preso per mano, proteggendoci e sgridandoci quando era il caso, per insegnarci a diventare grandi. Rivivo questo tempo nel sapore dolciastro del sugo d’uva, nella fragranza del mosto messo a bollire sul fuoco, che ogni anno, puntualmente a Settembre, si diffondeva nelle stanze di casa. Nei chiaroscuri tiepidi dell’autunno, sul far dell’imbrunire, in sella alla bicicletta, le donne partivano con dei bottiglioni di vetro da due litri, per andare a prendere il fatidico mosto. “Andom a tor al most”. Lo si poteva trovare solo nelle cantine, nel periodo della vendemmia, dopo che i contadini con i carri carichi di uva, avevano verificato la gradazione del frutto.
Quello strano dessert, un pò budino un pò marmellata, si inseriva come merenda nei nostri giochi ancora privi di tecnologia. E ritornava in tavola come dolce nell’ora della cena, quando gli uomini tornavano dal lavoro, le nonne avevano da poco terminato la preparazione della sfoglia e noi bambini aspettavamo la musica di carosello per consegnarci ai sogni. Come probabilmente altri cibi, con il sugo d’uva il tempo perduto ritorna e nel suo profumo c’è una parte, una piccola parte del lungo viaggio dell’universo femminile.

Cinzia

 

Ricetta

Ingredienti: mosto, farina, zucchero 

Bollire il mosto in un tegame senza coperchio, a bollitura iniziata è necessario schiumare il mosto. Spegnere il fuoco, prelevare un mestolo di mosto e aggiungerlo alla farina, stemperare bene, poi aggiungere il composto ottenuto al mosto, aggiungere lo zucchero.
Rimettere il tutto sul fuoco, continuando a mescolare.

Limoncino di zia Maria

ricetta limoncino

Una delle presenze significative della famiglia di mio padre era la zia Maria, la sorella più anziana di mia nonna, nata nel 1902 in un piccolo paese della provincia bergamasca. Come tutte le sue sorelle, aveva studiato e si era diplomata all’istituto magistrale, ma a differenza delle altre, essendo l’unica che non si era sposata, fece per più di quarant’anni la maestra elementare nel suo paese. Quando andò in pensione trascorreva gli inverni a Bergamo e le estati nella casa di famiglia del paese.

Durante i mesi estivi, ogni pomeriggio, il salottino sotto il portico di quella casa si animava, tutti gli ex-alunni passavano a salutarla, non solo quelli che abitavano ancora vicini, ma anche coloro che vivevano lontano e avevano intrapreso professioni importanti; non c’era bisogno di telefonate di preavviso o di fissare appuntamenti, il portone di quella casa si apriva a tutti. La zia ricambiava l’affetto e la gentilezza di tutte quelle persone, non facendo mai mancare qualcosa da bere, del vino appena spillato dalle botti in cantina; ma la specialità della casa era un liquore da lei chiamato Limoncina. Veniva offerto, a seconda dell’età e del sesso degli ospiti, schietto o come sciroppo per dare colore e sapore ad un bicchiere di acqua.

Sin da bambina, quel liquore, di un particolarissimo colore verde, ha sempre attirato la mia attenzione ma solo con la maggiore età mi è stato concesso di gustarlo! La zia donò la ricetta a mia madre e anche una pianta di “limoncino”, ma sul balcone di casa a Modena, la pianta morì. In casa a volte si scherzava dicendo che quella pianta aveva bisogno delle cure della zia e dell’aria della collina bergamasca, a Modena non poteva sopravvivere!

Quando la zia e la mamma morirono, a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, erano i primi anni novanta e io ero ormai una ragazza. Così le nostre frequentazioni nel paese natale del papà si diradarono e quella ricetta rimase chiusa nel ricettario di famiglia.

Passarono gli anni e un’estate quasi per caso, nel giardino della casa dei miei suoceri ritrovai quel profumo e quella pianta, mi dissero che a Modena viene chiamata “erba Luigia”.

Da allora, a fine estate raccolgo le foglie e preparo quel liquore, e a Natale lo distribuisco a parenti e amici. Insieme a quel sapore mi sembra di regalare l’affetto e il calore che la zia Maria ha saputo trasmettere a tutti, compresi i suoi scolari, come diceva lei.

Vittorina

Ricetta.

Ingredienti:

  • 75 foglie di limoncina
  • la scorza di un limone
  • 2,5 hg di alcool
  • 2,5 hg di zucchero
  • 2,5 hg di acqua.

Si mettono a macerare le foglie di limoncina e la scorza di limone nell’alcool per 40 giorni. Si prepara lo sciroppo facendo bollire l’acqua e lo zucchero. Si lascia raffreddare e si unisce all’alcool, lasciando riposare almeno 2 settimane. Si filtra ed è pronto.